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Repechage I versi di Houellebecq e la Barbery prima del «Riccio» Tra un'infanzia senza amore e l'ultima gioia del gourmet

Autore: Gabriella Bosco
Testata: La Stampa - Tuttolibri
Data: 13 settembre 2008

Se uno scrittore fa straordinariamente parlare di se', che sia perche' da' scandalo o perche' quello che scrive piace a molta piu' gente di quanto fosse ragionevolmente prevedibile, da li' a poco capita che qualcuno vada a ripescare quello che ha fatto «prima». Prima dello scandalo o del successo, cioe'. Quasi sempre si trovano ragioni valide per dare in pasto ai lettori quella versione originaria del loro pupillo. L'operazione oggi investe due autori lontanissimi da ogni punto di vista, tanto lontani che solo questo fatto - il ripescaggio di testi «precedenti» - puo' giustificare quello di parlarne insieme. I due sono il cinico Michel Houellebecq e la popolare MURIEL BARBERY.

Dopo alcuni titoli tonitruanti del primo e l'imprevedibile boom editoriale che ha cambiato la vita alla seconda, escono adesso: del primo un volume misto che raccoglie materiali vari, ma soprattutto l'opera in versi. Risale al 1991, precede per composizione e pubblicazione Estensione del dominio della lotta. S'intitola La ricerca della felicita' e puo' essere letta come una sorta di manifesto. Della seconda invece, sull'onda inarrestabile del romanzo che si credeva di esordio - L'eleganza del riccio, prime posizioni in classifica per mesi - plana adesso quello che si scopre essere la vera opera prima, Estasi culinarie, scritto nel 2000. Va detto subito che entrambi i libri piaceranno moltissimo agli appassionati dei due autori, ma per ragioni radicalmente opposte. Gli amanti di Houellebecq avranno la sorpresa di scoprire nei suoi versi un animo poetico alla maniera antica. Quelli di MURIEL BARBERY avranno invece il piacere della conferma, il libro precedente e' propedeutico al seguente, e' in qualche modo una variazione sul tema, provvidenziale per chi e' rimasto triste avendo finito di leggere L'eleganza del riccio.

In realta', nell'uno e nell'altro c'e' di piu'. Non sono libri pretesto, ne' l'uno ne' l'altro, e proprio per le ragioni opposte che dicevo. Entrando nel dettaglio: per Houellebecq, se e' vero che lo spirito provocatorio non e' espunto (e ad esempio, tra quelli intitolati Interventi - sezione che raccoglie articoli apparsi qua e la' - figura un bel «Pre'vert e' un coglione», invettiva cosi' livida che diventa comica), dai testi in versi emerge un autoritratto dolente. «Restare vivi» e' lo scopo della scrittura, nella convinzione che la felicita' non esiste e che la condizione umana, o meglio specificamente houellebecquiana, e' la sofferenza, proveniente da un'infanzia senza amore. Addirittura, un'infanzia rubata che ha spinto l'autore a far morire il padre nella propria poesia, in termini umilianti, cosi' come ha fatto morire la madre in Particelle elementari. Entrambi sono viventi. Chiosa il volume una lettura interpretativa da fan di Simone Barillari. L'opera prima di MURIEL BARBERY, invece, presenta una struttura analoga all' Eleganza del riccio - stesso palazzo in rue de Grenelle come palcoscenico, stesso schema narrativo costruito sull'alternanza tra voci diverse - ma e' come l'amplificazione di quello che la' sarebbe diventato un punto chiave del meccanismo, la morte del critico gastronomico. Figura anche, sia pure fuggevolmente ma gia' ben caratterizzata, la portinaia Rene'e. A contrapporsi sono la voce del critico che sta per morire ma cerca fino all'ultimo di ricordare un sapore dimenticato, ritrovando il quale pensa che potrebbe andarsene in pace, e molteplici voci di persone che gli stanno intorno, dalla moglie ai vari figli all'allievo... (ma non mancano le opinioni del gatto e della statuetta di Venere del suo studio) in linea di massima legate a lui da un rapporto conflittuale per il comportamento castrante che ha avuto in vita. Informa la scrittura anche qui, come nell'Eleganza del riccio, la semplice opposizione tra cio' che e' buono e cio' che non lo e', a partire pero' da un principio di basilare sovvertimento dei valori convenzionali. Pagine e pagine di arabeschi descrittivi nell'evocazione di sapori sublimi, quelli del territorio o dei tempi andati, poi un epilogo-apologo che funge da colpo di scena, misurato pero'.