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Lo scrittore sepolto nella cassa di birra

Autore: Antonio Armano
Testata: Treccani.it
Data: 8 luglio 2014

Bohumil Hrabal si è fatto seppellire in una bara di quercia con sopra inciso “Pivovar Polná”, il nome della fabbrica di birra dove sua madre e l'uomo che gli ha fatto da padre si sono incontrati. Si considerava in tutti i sensi un prodotto della fabbrica di birra. E in questa ultima volontà, nella dissacrante e surreale tenerezza di un estremo omaggio alcolico, sta tutta la poetica e la vita di uno dei più grandi scrittori cechi del Novecento (se non il più grande): un uomo la cui arte nasceva al tavolo delle osterie – dopo il lavoro – o in uno dei tanti umili mestieri che ha fatto per campare. Un Conrad della pozzanghera sporca. Così, per dire, inizia un racconto di Inserzione per una casa in cui non voglio più abitare (uno di suoi più bei libri): “Al margine estremo della città si spalancò la porta della bettola e l'oste trascinò fuori una bionda, per buttarla giù dalla scala, ma la ragazza, aggrappandosi con entrambe le mani alla ringhiera, prese a gridare nella notte: - Mi lasci viiivere! Mi lasci viiivere!”. Per la cronaca non aveva pagato il conto.
La finestra da cui Hrabal è caduto mentre dava da mangiare ai piccioni si trova al quinto piano di un ospedale praghese, e molti pensano che si sia suicidato. Come Primo Levi. Perché, di volersi buttarsi dal quinto piano, ha scritto diverse volte: “A volte quando mi alzo, quando mi desto dal sopore, mi fa male l’intera stanza, tutta la mia camera, mi fa male guardare dalla finestra, i bambini vanno a scuola, la gente va a fare la spesa, sanno tutti dove andare, solo io non so proprio dove andare” (Il flauto magico). E dunque: “quante volte avrei voluto buttarmi dal quinto piano, dalla mia casa, in cui tutte le camere mi fanno male, ma l'angelo all'ultimo momento mi salva sempre, mi tira indietro, come dal quinto piano voleva buttarsi il mio dottor Franz Kafka, dalla Maison Oppelt”.
Nato a Brno nel '14 – un secolo secco fa -, alla vigilia della prima guerra mondiale, Hrabal ha studiato per qualche tempo nella stessa scuola superiore di Kundera nel capoluogo moravo, e come lui ha poi vissuto a Praga. Non si può pensare a personaggi più diversi visto che Kundera è diventato “di moda”, col tormentone pop anni '80 e '90 dell'Insostenibile leggerezza dell'essere (libro, film e poi persino canzone di Venditti). Se n'è andato a Parigi, ha tradito la lingua madre per mettersi a scrivere in francese i suoi ultimi romanzi e ha proibito che vengano tradotti in patria. Hrabal se n'è rimasto in Boemia, fino alla fine, a tratti censurato e a tratti incensato dai comunisti: fedele a un universo narrativo marginale – potremmo dire tra Campana, Bukowski e Zavattini –, ha continuato a sporcarsi le mani con la quotidianità, il villaggio, la periferia, la fabbrica, la birreria e la fonderia, il pisciatoio e il mattatoio, in un'epica che tende all'infinito partendo dalle cose di tutti i giorni. Macché maledettismi, trasgressività, cupezze: Hrabal ha raccontato tutto questo con lirismo appassionato e vitalistico, inventandosi uno stile da poème en prose, che scorre come un torrente impetuoso, senza pause. Se, come ha scritto Jiří Kolář, Flaubert ha letto duemila libri per scrivereBouvard e Pécuchet, Hrabal ha conosciuto duemila persone per scrivere quello che ha scritto. Da loro si è fatto raccontare le più disparate e strampalate storie e le ha raccontate. Non si può interrompere qualcuno mentre in birreria ti racconta qualcosa e così la prosa di Hrabal esplode dall'incipit all'explicit senza pause sfidando il fiato del lettore.
Era un lunedì 3 febbraio quando Hrabal è caduto o si è buttato. L'anno il '97. Hrabal avrebbe compiuto 83 anni il 28 marzo. Il muro di Berlino era crollato da pochi anni e Praga stava conoscendo una deriva turistica scrostandosi di dosso la grisaille partoutdel socialismo reale e   trasformandosi in una delle mete europee preferite: tra negozi di souvenir, pizzerie e ristoranti italianeggianti, palazzi antichi ridipinti di colori vivaci e comprati da tedeschi e austriaci. Uno dei pochi posti del Città Vecchia dove era possibile trovare rifugio dalle comitive era “U tygra”. Come Hrabal chiamava la birreria “U zlatého tygra”, “Alla tigre d'oro”, il suo ufficio. Il menù era solo in ceco, i camerieri parlavano solo ceco ed erano troppo sbrigativi e bruschi per dar retta ai turisti. Non c'era mai posto e lo straccio con cui venivano approssimativamente lavati i bicchieri – sarebbe meglio dire sciacquati e basta – era di un grigio inquietante. A tutt'oggi la birra – la migliore Pilsner – ha un prezzo politico (38 corone ceche, 1,38 euro, una media), ma la birreria dove Hrabal ha incontrato Clinton, al culmine dell'entusiasmo seguito al crollo del Muro, sarà di sicuro più turistica e ha persino un sito Internet 
Le tracce letterarie che la maggior parte dei turisti seguivano – quelli che seguivano delle tracce letterarie – erano kafkiane o kunderiane. Nella migliore delle ipotesi, insieme alle guide varie, veniva esposto, tradotto in varie lingue, il bellissimo Praga magica di Angelo Maria Ripellino. Hrabal, benché ampiamente tradotto in circa trenta lingue del globo – qui da e/o e Einaudi –, richiedeva un sforzo supplementare di ricerca. Le sue atmosfere, dove il fango si mischiava all'oro, si dovevano rintracciare, più ancora che alla “Tigre d'oro”, nel quartiere periferico e popolare, e abitato di zingari, di Libeň . O magari a Nymburk, il luogo dove è cresciuto e che ha raccontato nel romanzo La cittadina dove il tempo si è fermato, ristampato da e/o nella veste originale della mitica “collana praghese” per il centenario. La fabbrica di birra è il centro, insieme all'osteria dove le signorine allegre dicono frasi come questa: “Ecco qui, maschio, ti offro una coppa di champagne, così hai qualcosa da pisciare”. In mezzo scorre il fiume Elba che passa poi per Dresda e sfocia ad Amburgo, tra suggestioni oceaniche, ampiezze da grande porto sul mare. 
Altro grande libro della collana ristampato da e/o per il centenario: Ho servito il re d'Inghilterra, di cui qualcuno conoscerà lo strepitoso attacco: “State attenti a quello che adesso vi dico. Quando arrivai all'hotel Praga, il capo mi prese per l'orecchia sinistra e tirandomela dice: 'Qui tu sei il piccolo di sala, perciò ricordati! Non hai visto niente, non hai sentito niente! Ripeti!' E così dissi che al lavoro non vedevo niente e non sentivo niente. E il capo mi tirò per l'orecchia sinistra e disse: 'Ma ricordati anche che tu devi vedere tutto e sentire tutto! Ripeti!' E così ripetei stupito che avrei visto tutto e sentito tutto. E così cominciai”.
Vendendo salsicce bollenti in stazione, il ragazzino o piccolo di sala fa su un po' di soldi (subito spesi a mignotte), se la spassa, ha un lavoro, una vita: “Come diceva sempre papà, avere sempre uno scopo e sarò salvo, perché avrò per che cosa vivere”. (Sempre al padre adottivo si riferisce, non a quello naturale che non hai mai praticamente conosciuto.) Un principio che ripete in quello che è uno dei suoi più splendidi testi, il racconto La Bella Poldy, ambientato in una fonderia praghese, dove le insegne degli esercizi commerciali dismessi vanno a morire per essere riciclate. DaInserzione per una casa in cui non voglio più abitare (Einaudi): “Ma la Bella Poldi è anche il grido con cui il brigatista strappa a pezzi le insegne e gli slogans, tre corone e cinquanta per etto, dato che l'uomo ritorna nelle tubature del cervello e verifica il conto, per sapere che paga e perché ha pagato quel prezzo, in quanto chi mette le dita in un lavoro fecondo è salvo per sempre, essendo la vita fedeltà alle bellezze esplosive, spesso anche a costo della propria”.
E com'è che Hrabal ha messo le mani nella bellezza esplosiva della prosa? Non c'è niente di più falso di quando uno scrittore – mai spontaneamente ma per rispondere a una domanda  – spiega “quando è diventato scrittore”. Voglio dire: il momento esatto. Una delle poche risposte interessanti l'ha data Hrabal. In realtà la domanda era un po' diversa, meno cretina (quando è entrato nel mondo dei libri e della letteratura): “ Da bambino naturalmente, e penso che anche il mio ingresso nella letteratura, quello che ho avuto da leggere da bambino, abbia determinato alla fine tutta la mia evoluzione. Il mio primo libro è stato un sillabario. Quando ho imparato a leggere, mi hanno regalato un libro particolare che si intitolava Cialtrone di un cialtroncello. È la vicenda di un ragazzo ostile e cattivo, che però grazie a certe forze esterne, simili a gnomi, alla fine diventa un ragazzo perbene. E io non mi proiettavo affatto nel ragazzo perbene, io mi identificavo nel Cialtrone, e quel libro dovevo proprio amarlo perché ce l’ho a casa, e nessuno l’ha letto, solo io, ed è completamente sfasciato”. 
La combinazione esplosiva per Hrabal è l'incontro tra il marginale e l'infinito, tra il tipo sfigato e cialtrone e la bellezza, tra il picaro da bettola o fabbrica e un frammento intenso di vita. Nella bellezza esplosiva mette le mani Miloš, protagonista del romanzoTreni strettamente sorvegliati (sempre e/o), che tenta di uccidersi tagliandosi le vene dopo avere fatto una pessima figura la sua prima volta, causa eiaculazione precoce,ante portam. Il giovane ferroviere – siamo durante l'occupazione nazista – non muore e viene coinvolto nella Resistenza: metafora, almeno in Italiano, di una più lunga durata. Riceve l'esplosivo dalla partigiana Viktorka (Vittorina), passa una notte d'amore con lei, senza incidenti tecnici, e butta la bomba su un treno tedesco che trasporta munizioni. Purtroppo non avrà molto tempo per godersi la “guarigione”. Ma a un certo punto ci si deve buttare: dal quinto piano di un ospedale, o nella fonderia come un'insegna dismessa o sul treno nazista. Oppure si cade dando da mangiare ai piccioni. Da Treni strettamente sorvegliati il regista ceco Jiří Menzel ha tratto un film, premio Oscar nel '66 (memorabile la scena in cui il capomanovra Ubička stampa un timbro sulle chiappe della telegrafista), integralmente visibile su Youtube (in ceco).