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La donna che si finse beata per sopravvivere

Autore: Alfonso Lentini
Testata: Stilos
Data: 18 luglio 2006

C’è un quadro della pittrice messicana Frida Kalho – intitolato “Le due Fride” – che è un doppio autoritratto, sgargiante e dolente, nel quale l’autrice si scinde in due figure femminili speculari e diversissime. L’artista vuole certamente raffigurare la collisione delle sue due anime, ma forse più in esteso allude alla tormentata convivenza delle diverse identità, i doloranti cocci rotti, di cui si compone l’universo messicano, così divaricato e irto di contraddizioni che affondano le loro radici nella storia più remota, i tempi della colonizzazione, quando l’invasione spagnola si è abbattuta con violenza sulle millenarie civiltà precolombiane originando ferite non ancora sanate. Proprio per questa sua forte valenza evocativa il quadro di Frida Kalho avrebbe potuto benissimo figurare nella copertina di Angeli dell’abisso, romanzo fiume del messicano Enrique Serna ora pubblicato in Italia dalle Edizioni e/o nella cristallina traduzione di Raul Schenardi (che ne è anche il curatore).

Ambientata nel Seicento più sulfureo, ai tempi di un Messico ancora fresco di colonizzazione, l’opera di Serna racconta infatti questa natura doppia dei territori colonizzati. Romanzo “sontuoso” e labirintico (se è vero, come sostiene Borges, che il labirinto è un “giardino dei sentieri che si biforcano”, dunque figliolanza del doppio), narra dell’aspirante attrice Crisanta Cruz, che si rassegna a recitare la parte di una “finta beata” in preda a estasi mistiche per sopravvivere in un mondo che la respinge con violenza, ricavando vantaggi d’ogni genere dalla sua messa in scena (alla quale tutti, dal popolo alle famiglie spagnole più potenti, prestano fede come se fosse una vera manifestazione del divino). Realtà e finzione, vita e teatro si intrecciano nel racconto sino a quando Crisanta cade nella rete della Santa Inquisizione ed è condannata a morte.

La storia si ispira a un processo reale istituito nel secolo XVII dall’Inquisizione della Nuova Spagna contro Teresa Romero, meglio conosciuta come “la falsa Teresa di Gesù”. Tuttavia nel romanzo di Serna non resta quasi nulla del processo reale, il racconto prende un corso immaginario (e persino il nome della protagonista da Teresa diventa un più sensuale Crisanta).

La struttura a specchio è evidente soprattutto nella prima parte, sin nella disposizione dei capitoli che oscillano nella presentazione di due vicende parallele attraverso una sorta di montaggio alternato grazie al quale la storia della bimba Crisanta, stuprata in un clima di impressionante sfacelo morale dal padre alcolizzato, si affianca a quella del ragazzo Tlacotzin, un indio combattuto fra la fedeltà alla religione ormai clandestina dei padri e le suggestioni della nuova fede imposta dai dominatori.

Il doppio percorso a sua volta presenta due esperienze di sdoppiatura: Tlacotzin è incerto fra le due fedi ed è scisso in due sofferte identità sino ad assumere un doppio nome (Tlacotzin per i nativi, Diego per gli spagnoli), Crisanta è contesa tra le fascinazioni del teatro (che le derivano da una madre attrice da lei mai conosciuta) e il mondo degradato e corrotto verso il quale vorrebbe instradarla il padre Onèsimo, che a sua volta oscilla fra gli eccessi alcolici e le crisi religiose più o meno sincere che lo sospingono sull’orlo del fanatismo.

Nella sua confusa esaltazione Onèsimo odia con tutto se stesso il teatro, considerandolo un luogo di perversione diabolica, e teme come la peste l’attrazione che invece la figlia prova verso quel mondo. Si inserisce a questo punto una scena che è forse una sorta di chiave della storia: quando, verso l’inizio del romanzo, il padre sorprende la piccola Crisanta addormentata, ed accanto a lei scopre un libro sulla vita di Santa Teresa. La bambina lo stava leggendo come un copione di teatro per trovare ispirazione in vista di una recita scolastica, ma il padre crede che la figlia sia sulla via di una esaltazione religiosa da lui tanto desiderata.

Nasce a questo punto un equivoco di portata strutturale ai fini della narrazione: Onèsimo pensa che la bambina abbia finalmente abbandonato il suo amore peccaminoso per il teatro, quando invece sta succedendo esattamente l’opposto. Poco dopo infatti Onèsimo sorprende la figlia mentre prova in segreto la parte e si convince che sia veramente in preda a crisi mistiche. Crisanta capisce l’equivoco, ma decide di approfittarne: “Aveva scoperto che il teatro poteva burlarsi dei suoi nemici”.

Siamo nel pieno di una situazione “barocca” e da questo punto in poi la storia gira a spirale con un movimento “a doppia elica”, come quello delle colonne berniniane. Ci si inoltra sempre più nel “giardino dei sentieri che si biforcano” e il ritmo monta in un avvicendarsi di personaggi e situazioni innestati in un quadro storico efficacemente ricostruito: gli intrighi di potere, la corruzione della Chiesa, le città attraversate dalla miseria, le vessazioni a cui sono sottoposti gli indios, tutto questo è raccontato con passione e volontà di denuncia, ma anche con il rigore che compete ad un romanzo storico.

Del romanzo storico infatti Angeli dell’abisso ha il respiro corale, la dimensione dell’affresco, ma questo è solo uno dei mille volti di una scrittura cangiante che ingloba elementi del romanzo picaresco, mima gli schemi della commedia degli equivoci, echeggia i toni del melodramma, si inoltra nel racconto psicologico e nel finale a sorpresa ricalca persino il modello della fiaba con tanto di Deus ex machina risolutivo.

La sua cifra più profonda, però, è forse nella dimensione erotica. Un’accesa sensualità pervade la narrazione intera. Dalle erezioni incontrollabili dell’adolescente Tlacotzin agli amplessi selvaggi che i due protagonisti vivono con gioiosa innocenza, alle depravazioni solitarie che il maligno fra Juan Càrcamo pratica con terribili sensi di colpa, all’esaltata passionalità della giovane Leonor, alle fiammate di eccitazione del vecchio poeta Sandoval Zapata: è una corrente di erotismo che filtra a fatica, arde come brace tenuta al coperto, intrecciandosi ai pregiudizi e alla repressione religiosa, ma che nello stesso tempo attraversa le pagine come una ventata di sano vitalismo.

A scene dure, impressionanti per il crudo realismo, si alternano momenti di fresco lirismo, di calcolata suspence, di ironico divertissement, affiorano inserzioni colte che rivelano quando meno te l’aspetti le vastissime conoscenze dell’autore. I personaggi prendono forma con naturalezza e senza schematizzazioni, partecipano del bene e del male, attraversano i confini fra le fedi e le morali, scavalcano conversioni e ricadute, vivono e “recitano” in un immenso palcoscenico barocco.

Serna, che è uno tra i maggiori scrittori del Messico contemporaneo, mette in moto una macchina narrativa complessa e geometricamente perfetta. Sapienti colpi di scena, alternanza di comico e drammatico, un ritmo perfettamente calibrato sul respiro, rendono questo romanzo travolgente e leggibile d’un fiato, nonostante la mole.