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Crimine come destino: la carriera di Mariasole

Autore: Francesco Durante
Testata: Corriere del Mezzogiorno
Data: 8 aprile 2015

Con La buona legge di Mariasole, Luigi Romolo Carrino ritorna alle origini del suo percorso di narratore, riallacciandosi direttamente al suo romanzo d’esordio del 2008, Acqua Storta. In quel libro succedeva che, a capo di una «scandalosa» trasgressione del codice camorristico, veniva ucciso il giovane boss Giovanni Farnesini, figlio di don Antonio e dunque erede del ruolo di capo del cartello criminale degli Acqua Storta. Il nuovo libro ci parla del «dopo», di ciò che succede all’indomani di questo delitto che ha il potere di sconvolgere gli equilibri criminali in Campania, innescando un pericoloso conflitto tra i vari clan. Dico subito, però, che non occorre aver letto il libro precedente per poter godere appieno di questo nuovo racconto: al lettore non è richiesto di ricordare l’antefatto, che peraltro viene a poco a poco ricapitolato nel corso del romanzo anche grazie a svariati flashback. Per questo motivo, e per non guastare il piacere della lettura, mi asterrò dal riassumere le ragioni dell’uccisione di Giovanni.
Mariasole Simonetti ne è la vedova, e la madre del suo figlioletto Antonio, che porta lo stesso nome del vecchio boss che vive nascosto in un bunker al Villaggio Coppola. Il romanzo, narrato in prima persona dalla sua voce, la vede protagonista assoluta di una «formazione» criminale: Mariasole imparerà a dissimulare le proprie fragilità, a dare ordini, a farli rispettare, a indossare una corazza di spietata freddezza anche quando, quasi con un richiamo ai versi famosi di Emily Dickinson, «dentro di me sono il Vesuvio». Diventerà il capo assoluto del cartello criminale, rispettata e temuta anche da quelli che, all’inizio, non ritenevano accettabile che fosse proprio una donna a guidarli. Carrino si cimenta – debbo dire con ottimi risultati per quanto attiene alla tenuta narrativa di un testo che risulta assai avvincente – con la costruzione di un personaggio in cui la problematica di genere è drammaticamente vitale: Mariasole è una donna avvenente, innamorata del suo uomo scomparso cui sempre si rivolge nel ricordo, parlandogli con un «tu» struggente e terribile («Sono lupa vedova rimasta a guidare il branco che hai lasciato»), ferita nel profondo dal tradimento di lui, bisognosa di amore e al contempo angosciata dal suo sentimento materno, dunque dalla necessità di pensare al futuro della propria famiglia, pretendendo al contempo che suo figlio sappia comportarsi senza mai dimenticare chi è. Carrino disegna un complesso tessuto di relazioni parentali che s’incrociano con le strutture associative criminali, e all’interno di questo quadro colloca e spiega con ammirevole precisione i movimenti di Mariasole. Ci sono poi altri personaggi femminili, come le mute ed efficienti guardaspalle di Mariasole e, notevolmente più rilevata, la misteriosa Donna Angela Rosamaria Lieto, nobildonna asserragliata nel suo palazzo di Procida, vera e propria burattinaia in grado di guidare le stesse decisioni del grande capo Antonio Farnesini, che è peraltro il suo figlio naturale.
La scrittura è nervosa, essenziale, anche se si concede spesso a figure di un vivace espressionismo: vediamo per esempio Ferdinando, già devoto angelo custode di Giovanni, che entra nella casa di Mariasole e «rimane lì in piedi come un mazzo di friarielli». Il tessuto retorico del romanzo è perfettamente adeguato al tipo di società che viene rappresentata, e allo stesso tempo perfettamente funzionale al ritmo di una narrazione che colpirà i lettori per la sua efficacia di tipo spesso «cinematografico».