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Nelle vie di Bordeaux con Hervé Le Corre

Autore: Gabriella Bosco
Testata: La Stampa
Data: 22 settembre 2015

Il commissario si chiama Albert Darlac. È un personaggio orribile, venuto fuori dalle fogne del collaborazionismo più truce, passato incolume attraverso le maglie dell’epurazione e rimasto a fare danni nella Bordeaux di fine anni Cinquanta, una città pesantemente segnata dalla guerra e dai crimini nazisti. 
 
Se l’è inventato Hervé Le Corre, autore di noir ancora poco conosciuto da noi, ma già vincitore dei maggiori premi francesi riservati al polar con i suoi non numerosi romanzi, scritti nel tempo che gli avanza dalla professione di insegnante. Il lettore italiano appassionato del genere ha già avuto modo di apprezzarlo in Nero è il mio cuore (Piemme, 2012). Ora e/o manda in libreria quello che è considerato dai critici il suo capolavoro, insignito del prix du polar européen 2014.
 
Dopo la guerra si apre con una scena dura, molto. Darlac tortura un malcapitato con metodi appresi dalle SS. È una soglia che è necessario varcare per poter soppesare il macigno della vendetta destinato a scaricarglisi addosso nel corso del romanzo. 
 
Gli altri due perni della vicenda sono un ventenne di nome Daniel, apprendista meccanico, malinconico di carattere e appassionato di cinema, tanto che si è costruito con un metro pieghevole un piccolo riquadro rettangolare che tiene in tasca e spesso guarda la gente e le cose attraverso quegli angoli retti in modo da inquadrare quello che vede. Daniel è orfano, i suoi genitori sono stati inghiottiti dai campi di sterminio, lui aveva pochi anni quando glieli portarono via. È stato adottato da una coppia che lo ama come un figlio e che accudisce teneramente il suo sordo dolore. Il destino lo strappa anche da questi affetti per proiettarlo insieme a tanti suoi coetanei nel cuore arroventato del massacro algerino.
 
Ma poi c’è André Vaillant, il più denso dei tre personaggi. Il suo è un nome falso. Tornato a Bordeaux dopo quindici anni, sopravvissuto all’inferno del lager, ha uno scopo preciso: farla pagare a chi lo condannò a morte insieme alla moglie Olga. Lei non ce l’ha fatta, lui la deve vendicare. Appena arrivato in città porta la moto ad aggiustare nel garage in cui lavora Daniel. Ed ecco che il meccanismo romanzesco è innescato. Per scoprire chi sarà il gatto e chi il topo bisogna leggere fino all’ultima riga. 
 
L’idea della vicenda è venuta all’autore sentendo la testimonianza di un ex resistente, Michel Slitinski, che fu porta-parola della parte civile nel processo contro Maurice Papon, segretario generale della Prefettura della Gironda durante il regime di Vichy, responsabile della deportazione di 1690 ebrei. Le Corre lo aveva invitato nel suo liceo a parlare con gli studenti della sua esperienza e lui aveva raccontato di quando, scendendo da un autobus, aveva urtato con la spalla un poliziotto nel quale aveva riconosciuto colui che tanti anni prima aveva arrestato suo padre, poi morto a Auschwitz. 
 
Il romanzo di Le Corre, in effetti, va oltre i confini del noir classico. I capitoli sulla guerra d’Algeria e quelli in prima persona, stralci del diario di André, memoria della deportazione e della sopravvivenza, lo allargano a un orizzonte diverso. La sua scrittura, resa con efficacia nella traduzione di Alberto Bracci Testasecca, è del resto anch’essa un’invenzione. Le Corre non attinge, come spesso fanno gli autori di noir, al gergo. S’impenna senza remore nelle scene violente, al limite del sopportabile, ma con altrettanta forza sonda le profondità del dolore – e dell’amore – diventando poesia. Non è un caso: i suoi riferimenti sono da un lato Manchette, un maestro del genere, ma dall’altro Lautréamont, i suoi Canti. Omaggio esplicito al poeta della crudeltà, Le Corre l’ha reso con L’homme aux lèvres de saphir, il cui protagonista è un assassino che nella primavera del 1870 copiava i crimini di Maldoror.

http://www.lastampa.it/2015/09/22/cultura/tuttolibri/nelle-vie-di-bordeaux-con-herv-le-corre-JhbuLUqGv8z0FjTY2LIVDM/pagina.html