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Il difficile rapporto tra fede e omosessualità

Autore: Vladimiro Bottone
Testata: Corriere del Mezzogiorno
Data: 15 ottobre 2015

Intorno ai quattordici anni mi sono allontanato dai sacramenti, così come uno scrittore senza più ispirazione abbandona la penna sul tavolo. Quasi in contemporanea ho cominciato a vagheggiare la bellezza del corpo femminile. Il fatto che mi sia appassionato all’ultimo saggio di Eduardo Savarese, Lettera di un omosessuale alla Chiesa di Roma, edito da E/O, la dice lunga sulla capacità del testo di indurre anche un non-credente eterosessuale a riflettere e ripensare. Contrariamente a chi scrive Eduardo è un cattolico, osservante in modo non ritualistico; la sua pratica è operosa, l’affetto per la Chiesa e Cristo ardente. Come cattolico e omosessuale desidera di non essere respinto da colei, la Chiesa romana, che lui ama. In conseguenza desidera di potersi accostare alla totalità dei sacramenti che la Chiesa cattolica contempla, matrimonio incluso. Da ciò lo struggimento dei passi più strettamente autobiografici del libro. Libro che, tuttavia, è l’esatto contrario di una querimonia. Dalle parti di Eduardo vige un’intelligenza pacata e ferma. Si pensa, dunque, e lo si fa con il rigore logico-consequenziale di chi ha interiorizzato e pratica il sapere giuridico. Veniamo al punto, dunque alle argomentazioni che innervano il libro. Partirei dall’assunto dell’opera che più la distingue dalla pamphlettistica del campo omosessuale sul tema. Vale a dire dal non-rifiuto, da parte di Savarese, di nozioni quali Natura e naturalità. La realtà umana, afferma con ragione Savarese, non è riducibile per intero ad una costruzione sociale e culturale. Concordo. Il nostro stesso venire al mondo, aggiungerei io, s’instaura attraverso atti saturi di naturalità: lo schema psico-motorio della suzione ed il fenomeno della montata lattea. Due atti di Natura che impronteranno la nostra coscienza, il nostro inconscio, parte della nostra esistenza successiva (la madre, e dunque il femminile, come primo oggetto di piacere e di amore, per esempio). Negando che tutto sia mera costruzione culturale Eduardo pone oltretutto la Fede al riparo dal relativismo anche se, si potrebbe obiettare, rischia di ridare fiato alle trombe di chi, in nome della Natura, contesta alla omosessualità il suo essere contro Natura. Savarese qui è davvero brillante contro-argomentando, con ragione e sul filo di Ragione, che la Natura prevede ed ammette l’eccezione, la varianza, la dissonanza come parti costitutive di se stessa. L’eccezione dell’omosessualità o della bisessualità forma parte integrante dell’ordito della Creazione, della sua armonia discordante. Tanto è vero, affermo io sviluppando il pensiero di Eduardo, che bisessualità e omosessualità accompagnano – come un controcanto spesso «a bocca chiusa» la storia naturale e culturale tanto dell’eros quanto dell’affettività. Venendo talvolta, la bisessualità, prevista e regolata dai quadri culturali di intere civiltà come quelle greca e romana (vedasi il fondamentale Eva Cantarella, Secondo Natura. La bisessualità nel mondo antico). Questo taglio argomentativo ritengo possa davvero condurre ad una comprensione più piena della dimensione omosessuale da parte delle gerarchie romane e della riflessione teologicomorale. I miei dubbi, invece, concernono la possibilità di un riconoscimento del matrimonio, e dunque della filiazione omosessuali, da parte della Chiesa cattolica. In base al motivo che, mentre l’omosessualità appartiene al passato, al presente e all’avvenire dell’umanità, il matrimonio fra appartenenti al medesimo sesso configura una modalità di filiazione che nessuna società umana storica ha mai sperimentato o anche solo immaginato (e meno che mai quell’antichità classica pur così estranea alla stigmatizzazione e tabuizzazione delle pratiche omosessuali o bisessuali). Il matrimonio omosessuale – ed è il mio un giudizio «di fatto», non «di valore» fonda una cesura a tal segno radicale da qualificarsi come estranea non solo alla doppia eredità storica dell’Ebraismo e del mondo classico, sia pure ripensati alla luce dell’Annuncio di Cristo, che costituisce l’humus dove il Cattolicesimo affonda tutte le proprie radici. Il «matrimonio egualitario» si caratterizza, piuttosto, come un affrancamento dall’idea stessa di tradizione tout court. Ciò che Eduardo chiede alla Chiesa di Roma mi appare, dunque, come l’invocazione a rinnegare in un solo colpo la propria storia e l’insieme della Storia. Questa la mia impressione, forse im-pertinente e incompetente, da esterno all’orizzonte della Chiesa e al suo mistero fondativo. Rimane, invece come fatto certo, che il lavoro di Savarese impegna temi cruciali in un modo tale da perturbare e far riflettere sia il credente che il non-credente. Si può chiedere di più, vorrei dire si può chiedere di meglio, a un libro?