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Ferri, Cecilia Metella shock

Autore: Filippo La Porta
Testata: il Riformista
Data: 14 febbraio 2009

Cecilia di Linda Ferri (e/o) è soprattutto un romanzo “emotivo”, prima ancora di essere un romanzo storico o biografico. Nasce infatti dall’emozione ustionante che le ha dato un’opera d’arte, la statua seicentesca di Santa Cecilia di Stefano Maderno, custodita a Roma nella chiesa omonima. L’artista scolpì a soli 24 anni la statua, ispirandosi direttamente al corpo allora rinvenuto della santa: poggiata su un fianco, il volto rivolto a terra. Solo attraverso un recente restauro possiamo vedere la scultura nella sua abbagliante bellezza e poi questo volto, semi-nascosto agli astanti.

È come se la Ferri avesse voluto cominciare da lì, dal bisogno di raccontare l’altro lato, con pudore e in modo partecipe. Così scorre davanti a noi la vita di Cecilia Metella, giovinetta vissuta nel secondo secolo dopo Cristo (Marco Aurelio imperatore), rampolla di una nobile e ricca famiglia romana, educata sui testi classici dell’antichità e convertita al cristianesimo, santa, vergine e martire. Dall’ansia per un matrimonio imposto alle gelosie violente e infine alla rivelazione. Sarebbe fuorviante qualsiasi analogia con Le memorie di Adriano, in cui la Yourcenar ricostruisce meticolosamente l’universo tardo-classico, per ritrovarvi i caratteri di una malinconica e adulta visione laica del mondo. La Ferri aderisce al suo personaggio seguendone fedelmente la curva del destino, senza eccessive preoccupazioni filologiche (anche se ovviamente si è documentata) e senza cercare in esso delle risposte ai nostri dilemmi. La narrazione è lineare, casta. Alla protagonista sono imprestati modi di esprimersi un po’ antiquati, forse per evitare un rischio di eccessivo appiattimento sul presente: dirà che la musica «placa i tumulti della mia natura », mentre delle azioni «non serviranno a scongiurare il suo biasimo».

Ma ciò che rende credibile ogni pagina e ogni dialogo del libro è proprio il rapporto di intimità che la Ferri stabilisce con Metella. Anche a noi accade di scoprire, insieme a lei, la verità eversiva del cristianesimo, di quel sentimento di fraternità che all’improvviso rende il nostro prossimo più reale e le cose piccole misteriosamente eterne! E anche se le obiezioni del suo giudice non sono così infondate (i pagani sentivano tutta la “follia” della Buona Novella, quell’invito a perdersi per ritrovarsi in Cristo) il libro mette bene in luce la novità scandalosa dei Vangeli, e cioè l’Incarnazione, il dio che si fa carne (riscattandola), contro una cultura gnostica che crede al corpo prigione dell’anima e all’esistenza come caduta. È vero che poi il cristianesimo stesso ha offuscato negli anni il sentimento della bellezza del mondo, ma è tema che meriterebbe una considerazione a parte. Questo romanzo mi ha evocato un altro bel libro uscito un anno fa, Louise di Eliana Bouchard, sulla moglie di Guglielmo Il Taciturno, sempre in fuga e perseguitata, sempre dalla parte degli umiliati e offesi, avversa a guerre e fanatismi. In entrambe le figure si può percepire una radice, in parte oscurata, della nostra stessa civiltà, una razionalità diversa. Una idea femminile dell’esistenza e delle relazioni tra esseri umani, che si contrappone quasi naturalmente alla Storia e alla logica della forza.