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PER TUTTO L’ORO DEL MONDO di Massimo Carlotto (un estratto)

Autore: Massimo Maugeri
Testata: Letteratitudine
Data: 20 novembre 2015
URL: https://letteratitudinenews.wordpress.com/2015/11/19/per-tutto-loro-del-mondo-di-massimo-carlotto-un-estratto/#more-8163

PROLOGO

Donna di jazz. Quando avvicinava le labbra rosse al microfono per attaccare Good Morning Kiss trattenevo il fiato per godermi ogni singolo istante. Imitava voce e stile di Carmen Lundy ma bisognava sforzarsi per capirlo. Non avrebbe mai fatto carriera, nemmeno nei locali di provincia. Cantava brani jazz perché erano l’unica cosa in grado di tenerla aggrappata a una vita che faticava a sopportare. Il marito era convinto che avesse un amante. Mi aveva allungato cinquecento euro appena ritirati dal bancomat per scoprirne l’identità. Era un brav’uomo ancora innamorato, non aveva nessuna intenzione di separarsi, voleva solo capire perché l’amore della sua vita si fosse allontanato da lui, dal loro mondo, per un altro. Con ogni probabilità uno sconosciuto. Un caso apparentemente facile per un investigatore senza licenza, che si accontentava di poco per ficcare il naso in affari di coppia che non lo riguardavano e che scordava un attimo dopo il saldo della parcella. Erano stati sufficienti un paio di giorni per scoprire che la donna fingeva di recarsi in ospedale, dove lavorava come infermiera, per un inesistente turno di notte e si infilava invece in uno scantinato noto come il Pico’s Club. Indossava un vestito verde smeraldo corto e scollato e scarpe dello stesso colore, con un tacco vertiginoso, e si per deva nel suo jazz. Era generosa e cantava fino a sfinirsi. Conoscevo di vista il pianista che l’accompagnava, bravo ma perennemente a secco di soldi, accettava qualunque ingaggio. Mi disse che “Cora” era spuntata dal nulla e gli aveva chiesto un provino. Si esibivano due notti a settimana ma lei non voleva saperne di allargare il giro. Il musicista era convinto che la donna si desse troppe arie e non avesse la minima intenzione di seguire i suoi consigli. Giudizio severo e fuori luogo. Lei aveva bisogno di recitare il ruolo della star in un rifugio dove per qualche ora la realtà non potesse fare irruzione. Avrei potuto chiudere le indagini in quel momento. Ma non lo feci. Violai il patto di fiducia con il cliente. Non avevo intenzione di fregargli l’anticipo ma erano ormai due mesi che non riuscivo a staccarmi dalla donna di jazz. Mi ero innamorato. Mi piaceva. Volevo diventare il suo amante. Ma non sapevo come avvicinarla. Di certo non potevo confessarle che la pedinavo per conto di suo marito, che conoscevo la sua se con da vita. Non volevo spaventarla e tantomeno farla in cazzare. Vo le – vo amarla. Quando stava sul palco a volte giocava con l’orlo del vestito e io sognavo di allungare le mani e accarezzarle le cosce. Belle, tornite. Cora era una quarantacinquenne alta, slanciata, il cui fisico mostrava segni evidenti dell’assidua frequentazione di palestre. Le tette ne avevano indubbiamente be neficiato. Una cascata di capelli ricci e neri incorniciava un volto ovale dai tratti delicati. Per evitare di incontrare il consorte, che usciva di casa per andare al lavoro, si fermava in un bar di periferia per la colazione che consumava lentamente. Mi sedevo vicino e la sbirciavo, ammirando le rughe agli angoli di quella bocca che desideravo baciare. Quando la spiavo nel buio del Pico’s Club, con il trucco pesante che i fari ambrati del palco mettevano in risalto, si faceva chiamare Cora. Una volta dismessi i panni della can – tante tornava a essere Marilena. Di cognome faceva Dal Corso. Anche quella mattina la osservai mentre mangiava un croissant con appetito leggendo il giornale. Alzò di scatto lo sguardo e piantò i suoi occhi nei miei. Le sorrisi. Lei rimase impassibile. Per un attimo temetti che mi avesse ri – conosciuto e collegato al locale. Invece tornò alla sua colazione e non mi degnò più della minima attenzione. La seguii fino a casa, una palazzina ai limiti della campagna. Padova era a qualche chilometro di distanza. Scesi dall’auto e fumai una sigaretta fantasticando di suonare il campanello e infilarmi sotto la doccia con lei. Nella mia vita c’erano stati altri momenti in cui il desiderio dell’amore di una donna mi aveva letteralmente travolto ma questo era particolarmente difficile da gestire. Ne avvertivo l’urgenza perché avevo bisogno di tenere a bada un passato di ferite mai completamente rimarginate che ogni giorno di più rischiava di diventare invadente. E distruttivo. Non avevo nessuna intenzione di fare i conti con quelle vecchie storie, ne sarei uscito sconfitto. Volevo vivere un presente dignitoso. Solo l’amore o la tensione di un’indagine pericolosa erano in grado di garantirmelo. Ma io non avevo intenzione di ficcarmi nei guai. Desideravo dare e ricevere tenerezza, affetto. Baci e carezze. Risalii in auto e guidai fino al grande magazzino di elettrodomestici dove lavorava il marito. Attesi che si liberasse di una cliente che chiedeva informazioni su una lavastoviglie ultimo modello, gli dissi che Marilena non lo tradiva e gli restituii i soldi. Lui finse di rifiutarli ma io tagliai corto ricordandogli quanto guadagnava al mese. «Io però sono sicuro che c’è un altro, mi racconta balle, s’inventa turni in reparto» si inalberò l’uomo, alzando leggermente la voce. Gli appoggiai la mano sul petto per tranquillizzarlo. «Tua moglie canta» spiegai. «In un club del cazzo, frequentato da bevitori solitari e donne mature con la voce roca per le troppe sigarette. È la sua isola di libertà, il suo innocuo segreto. Se le togli anche questo la perderai». «Non capisco» balbettò. «Siamo maschi e certe dinamiche sono al di fuori della nostra capacità di comprensione. Ascolta il mio consiglio: lasciala campare in pace». Gli strinsi la mano e me ne andai sollevato. Il caso era risolto. Forse sarei riuscito a stare lontano da lei come suggeriva il buon senso. Forse. Il mio cuore fuorilegge la pensava diversamente. Frugai tra i cd che tenevo in macchina e trovai subito quello che conteneva il brano che volevo ascoltare: Dengue Woman Blues del grande Jimmie Vaughan, fratello del compianto Stevie Ray.

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