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Da Linda Ferri l’autobiografia della martire Cecilia

Autore: Fulvio Panzeri
Testata: Avvenire
Data: 28 febbraio 2009

Al suo secondo romanzo, Linda Ferri stupisce perché ci riporta ad una tradizione di scrittura che ha fortemente inciso nel Novecento e che è stata dimenticata, quella che vede come capostipite una scrittrice del calibro di Anna Banti. Approccia così la figura di Cecilia, una ragazzina che affronta il martirio per non rinnegare la propria fede, anzi per non viverla di nascosto, ma dichiararla al mondo, non come una tragedia, ma come la storia di un’anima. E’ una figura, quella di Cecilia, alla quale, nel corso dei secoli, hanno guardato in molti, a partire da un giovanissimo scultore, Stefano Maderno, che quattordici secoli fa, nella Basilica di Trastevere, accanto al suo corpo riesumato per l’occasione, ne imprime la figura nel marmo, “in un dialogo silenzioso e impressionante tra due ragazzi, tra la vita e la morte, tra l’arte e la fede”, come sottolinea Linda Ferri. Quel “dialogo silenzioso e impressionante” è anche quello che ha instaurato lei stessa con la figura di Cecilia, che l’autrice definisce come “un innamoramento”, tanto profondo da riuscire a rendere credibile nel romanzo e soprattutto ad identificarsi con la prima persona che fa usare alla sua protagonista molto giovane, senza attualizzazioni, in una sorta di indagine interiore sulla breve vita di una donna che passa dall’irrequietezza dei rapporti con i genitori, dal dramma di dover sposare un uomo vecchio e brutto, perché imposto dai codici familiari, dalla scelta di un matrimonio che si rivela fonte di infelicità e di solitudine, fino a giungere alla scoperta di Dio e della fede, nell’abbracciare il cristianesimo in una Roma dove risuona forte la parola della predicazione di San Paolo.

Linda Ferri, a differenza della Banti, cesella con minor minuzia d’orafo la sua scrittura, perché preferisce restituirci una lezione stilistica che riprende il tono delle fonti cui attinge per la ricostruzione di questa “vita”, i cui moti interiori sono affidati ai rotoli di un diario, una possibilità che la ragazza sceglie per trovare una fondamento di chiarezza nel suo vivere tumultuoso, tra ansie e insicurezze, ma anche con una forza e soprattutto la necessità di restare fedele alla sua scelta. In questo la lezione della Banti incontra echi della ricerca letteraria di Marguerite Yourcenaur. Trattandosi di una struttura narrativa che prevede il racconto in prima persona della protagonista, Linda Ferri si ferma alla soglia dell’atto del martirio, anche se Cecilia ne fa partecipe il lettore, in un colloquio che alterna la sua preghiera e l’evolversi, in forma drammatica, del suo destino, con l’abbandono di tutti, dal marito alla famiglia. Lei ha dalla sua parte quel Dio che è diventata la sua ragione di vita, quel Dio che la giovane ha imparato a pregare, dopo la guarigione, che sente vivo, reale, in sé, tanto che anche le parole del suo diario ricercano la lingua degli angeli, per adattarsi ai nuovi segni. Da quando le sembra di vedere il mondo per la prima volta, cerca “le parole semplici per dire la vastità del Cielo”. Farà di questa semplicità la sua virtù e il suo desiderio, prima del martirio, in un perdersi invisibile e profondo tra “i frammenti di eternità”. E una preghiera: “Mio Dio, bisogna dire che si crede, sentirti vivo nel tuo cuore, in ogni istante, ora… Bisogna sopportare i tuoi misteri, abbandonarsi al tuo abbraccio, dire che si vuole vivere…”