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ONDE DI PIETRA

Testata: Goodreads
Data: 8 dicembre 2015
URL: https://www.goodreads.com/book/show/25964949-il-bel-tempo-di-tripoli

L'esordio nella narrativa a sessanta e rotti anni di un giornalista della televisione pubblica.

Lo fa sfruttando in parte gli strumenti della sua professione: da una lunga intervista registrata su nastro, svariate ore di domande risposte e racconti, effettuata in più sessioni, nasce questo suo particolare romanzo storico.

Il materiale è stato raccolto a fine anni Ottanta: Angelastro l’aveva accantonato - nel frattempo l’intervistato è morto - adesso il giornalista si è deciso a riprendere in mano nastri e appunti per partorire queste buone pagine.

Si tratta del racconto in prima persona di Filippo Salerno, avvocato barese, che ha professato fede nella lungimiranza del Duce, un convinto fascista, capitano della Milizia che affiancò il Regio Esercito partecipando all’invasione dell’Etiopia, e poi al crollo del sogno demente imperiale del PNF e del suo leader, affrontato e imposto come se fosse una specie di gita fuori porta.

È un punto di vista particolare perché interno ai fatti raccontati, è la soggettiva di chi c'era, di chi era in prima linea, all’inizio cinque anni in Abissinia e corno d’Africa, e poi durante la disfatta, vissuta in Libia, via via fino al veloce cambiamento di prospettiva, passando dalla camicia nera alla collaborazione con le forze inglesi.

La prima parte, quella in Etiopia, ha elementi più esotici e avventurosi (i safari, i postriboli, le esplorazioni…), la seconda è più militare e storica. Sono entrambe pregnanti.

L’avvocato Filippo Salerno è intelligente, ironico, osservatore (Più ci si sentiva fascisti, meno si avvertiva la necessità di capire, approfondire, studiare), e rappresenta piuttosto bene un certo fascismo, forse quello più legato al suo spirito iniziale, quello che faccio fatica a definire 'puro'.

Ma anche a distanza di decenni, secondo me il suo racconto non manifesta la necessaria presa di distanza, non esprime sufficiente consapevolezza della bestialità del ventennio, quasi come se la violenza orribile e smisurata dell’alleato nazista ci avesse redento dai nostri peccati fascisti. È un atteggiamento che trovo molto diffuso, adesso come allora, un sentimento nazionale che genera le esternazioni di un tre volte primo ministro italiano che confonde la repressione con vacanze in luoghi esotici, o il falsissimo mito degli italiani brava gente, ecc. Un solo esempio a chiarire l'osservazione qui sopra: quando gli sphasis, una forza di polizia costituita da rinnegati libici, massacra un villaggio etiope, Filippo Salerno la condanna è sdegnosa (raggelante ferocia) con parole e toni forti. Quando invece la rappresaglia è quella che seguì l’attentato a Graziani, su basi molto più ampie, niente viene taciuto ma il tono del narratore è molto meno sdegnato, quasi come se si trattasse un incidente di percorso e niente più. È il fastidioso e disturbante atteggiamento che ha per l’imperialismo fascista e per il ventennio in genere.

Sarebbe bene invece non dimenticare che il nostro imperialismo, oltre a essere fuori tempo e piuttosto ridicolo (l’Europa occupò le colonie per approvvigionarsi di materie prime, l’Italia invece non solo non importò nulla, ma aveva il traffico commerciale a senso inverso, le navi partivano da qui per portare là perfino il cibo – il ‘posto al sole’, cioè esportare fascia bassa di popolazione nazionale per popolare le colonie è un progetto condiviso solo dai francesi, con ben altro risultato), l'imperialismo italiano fu di impronta marcatamente repressiva, violenta e razzista: siamo stati tra i primi a usare le armi chimiche, abbiamo introdotto per legge l’apartheid (19 aprile 1937), un anno prima delle leggi razziali italiane, abbiamo usato campi di detenzione e forme di rappresaglia sulla popolazione civile anticipando i nazisti.

Gli sarebbe piaciuto sapere se credevi alle sue storie.