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Il realismo magico illumina la tragedia dell’Iraq

Autore: Gianluca Modolo
Testata: Repubblica Sera
Data: 10 febbraio 2016

Incipit. «L’esplosione avvenne due minuti dopo la partenza del minibus su cui si trovava la vecchia Elishua Umm Daniel. Nella vettura tutti si voltarono di scatto e con occhi atterriti videro, oltre la folla, l’imponente nube di fumo che si innalzava, nerissima, sopra il capolinea dei minibus e dei taxi vicino a piazza Tayaran, nel centro di Baghdad. Videro i giovani correre verso il luogo dell’esplosione e le auto finire contro lo spartitraffico o tamponarsi, i conducenti disorientati e in preda al panico. E sentirono una babele di voci umane, urla confuse, schiamazzi e gli allarmi di molte auto». La trama. Bagdad, fine 2005. Il regime sanguinario di Saddam Hussein è ormai caduto e la città è sotto l’occupazione delle truppe americane. Ogni giorno nuove stragi a colpi di autobomba e kamikaze mettono in ginocchio il Paese, già alle prese con le violenze settarie tra sciiti e sunniti, una economia precaria e una politica pressoché inesistente. Tra quartieri disastrati e vie spettrali si aggira Hadi Al-Attag, straccivendolo alcolizzato. In questa città dilaniata Hadi si è dato un compito: raccogliere e cucire insieme tra loro parti di resti umani, un modo, secondo il suo folle progetto, di onorare la dignità di tutte le vittime degli attentati che quotidianamente scuotono Bagdad. Mani, piedi, nasi e occhi, assemblati nel capanno di legno pieno di rottami nel retro della catapecchia in cui vive, cominciano a dare forma a quel corpo, anche se presto accadrà quello che nemmeno lui pensava: un’anima vagante, in attesa di sepoltura, si impossessa della sua “creatura”, facendola vivere. Questo moderno Frankestein, gemello in qualche modo del più famoso creato da Mary Shelley, agli occhi degli iracheni diventa un giustiziere, l’unico in grado di vendicare quanti sono stati assassinati ingiustamente. Ma Hadi, in quel corpo, ha riunito resti di vittime e di carnefici. Presto dunque quel mostro, assetato di sangue per riuscire a sopravvivere, non farà più distinzione tra buoni e cattivi, ma colpirà indiscriminatamente tutti. Gettando nel caos, ancora di più, un’intera città già caduta all’inferno. Lo stile. Popolatissimo di personaggi, il romanzo dell’esordiente Ahmed Saadawi mescola bene realismo magico (non a caso uno dei suoi autori preferiti ha confessato in una recente intervista è Gabriel García Márquez) e fantasy. Dietro alla sua storia surreale, Saadawi riesce a raccontare la realtà del suo paese in quegli anni, l’orrore della guerra, portandoci a spasso, in punta di piedi e un po’ impauriti, in una città spettrale, piena di vicoli bui, case distrutte e stragi quotidiane. Ma lo fa mescolando anche ironia e paradosso. Il suo Frankestein, che alla fine non farà distinzione tra innocenti e colpevoli, è un modo per denunciare la follia e l’ambiguità della guerra di quella come di tutte le altre dove vincitori e vinti si mescolano fino ad annullarsi, pervasi da quel desiderio di vendetta capace di alimentare solamente una violenza senza fine. L’autore. Giornalista e scrittore, con questo romanzo l’iracheno Ahmad Saadawi, nato a Baghdad nel 1973, ha vinto nel 2014 la settima edizione del prestigioso International prize for arabic fiction, una sorta di Booker prize del mondo arabo, sbaragliando la concorrenza di 180 candidati provenienti da 15 diversi paesi arabi.