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Escursioni elfiche per dribblare una nuova... «Eleganza»

Autore: Sara Polotti
Testata: Il Giornale di Brescia
Data: 24 febbraio 2016

Sono passati nove lunghissimi anni, ma gli ammiratori dell’Eleganza di Muriel Barbery e del suo Riccio possono finalmente riaprire le pagine scritte da quell’autrice francese così delicata e appassionante. «Vita degli Elfi» è da poco in libreria, ma la sua comparsa è stata preceduta da mesi di fervente attesa. Muriel Barbery portava sulle spalle il peso di un successo letterario come pochi. Che fare per scrollarlo senza deludere? Cambiare completamente genere. Meglio non aspettarsi la filosofia sociale dell’«Eleganza del riccio», dunque: la scrittrice ha sceso le scale del palazzo parigino di Rue Grenelle 7, il nido di Paloma, Renée e Kakuro Ozu, è uscita in strada e ha cambiato decisamente rotta. E il cammino l’ha portata in un tempo sospeso, tra la Francia contadi- na e l’Italia più profonda. Collocazione. È difficile collocare «Vita degli Elfi» in un genere esistente. Un po’ fanstasy, un po’ young adult, a tratti fiaba, spesso metafora della vita reale. Certo è che la scrittura e l’intreccio della trama spiazzano fin dalle prime pagine. La sintassi arzigogolata stupisce però solo per un attimo. Basta inoltrarsi tra le parole che narrano le vicende di Maria e Clara per capire che non potrebbe essere diversamente, che una struttura tradizionale non avrebbe garantito la stessa resa. Già, perché la trama è semplice. Due bambine venute da chissà dove, l’una finita in un paesello francese, l’altra sulle montagne abbruzzesi, entrambe circondate da personaggi semplici ma profondi che tengono il lettore ancorato al mondo conosciuto. Ma loro non fanno proprio parte, di questo mondo a noi conosciuto, anche se non lo sanno ancora; e le Brume che hanno dato loro i natali hanno donato a tutte due caratteristiche magiche e speciali che si traducono nel controllo della natura in una e in una straordinaria capacità musicale nell’altra. Il tutto condito come in un buon fantasy da una guerra in procinto di sconvolgere tanto il mondo umano quanto quello degli Elfi, dal quale, appunto, provengono le eteree ragazzine, in qualche modo profeticamente salvatrici. La narrazione. No, la straordinarietà del romanzo non sta nella trama. Sta nella maniera narrativa. Muriel Barbery è riuscita a cavare dalla storia, parlando al lettore nella lingua del mondo che ha creato, una nuova tipologia di letteratura. Il tempo è sospeso, e così lo sono la lingua e le sue costruzioni. I luoghi sono comuni, eppure sconosciuti, e così lo sono il tempo sto- rico e quello della trama: scelga il lettore dove collocare tutto, e scelga il lettore la chiave per aprire lo scrigno delle metafore. Per Muriel Barbery non si tratta di una parabola. Ma chiudendo l’ultima pagina (che sembra comunque gettare le fondamenta per la creazione di una saga, saltando l’ostacolo di un nuovo li- bro che non deluda ed evitando, forse, che passino altri nove anni per una nuova opera) non si può non pensare alla metafora esistenziale che emerge. Guerre e disastri elfici sembrano scaturire da motivi tipicamente umani. Le «scissioni e i muri» sono troppo familiari per non considerarli, quindi perché non approfittarne per una buona riflessione? Strizziamo un occhio e promettiamo alla Barbery di non considerarla una parabola: riflettere sui muri e sulle scissioni non fa mai male. E, alla fine, sta a noi lettori giudicare la buona riuscita di questo tentativo letterario. Chi lo considererà un avanguardistico capolavoro ha le sue ragioni, chi lo chiuderà con l’amaro in bocca non sarà biasimabile. Sembra sempre difficile digerire qualcosa di assolutamente nuovo, ma i palati letterari potrebbero farci presto l’abitudine.