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PASQUALE RUJU

Testata: Libro guerriero
Data: 24 marzo 2016
URL: https://libroguerriero.wordpress.com/2016/03/24/pasquale-ruju/

ATTIVITA’: Sceneggiatore, attore, regista. E da poco anche “giovane” scrittore…

SEGNI PARTICOLARI: testa dura barbaricina

Le tue origini e la formazione:

Sono nato a Nuoro, in Sardegna, e come molti altri conterranei, dopo il liceo classico, mi sono trasferito “in continente” per gli studi universitari. Ho preso una laurea in Architettura alla fine degli anni ottanta, ma già a quei tempi mi interessavo al teatro e cominciavo a lavorare nel doppiaggio. Ho poi fatto esperienze di regia e sceneggiatura. I fumetti sono arrivati più tardi, a metà degli anni novanta. Mi sono presentato ad Antonio Serra e poi a Mauro Marcheselli non con soggetti o sceneggiature, ma con un paio di cortometraggi girati in quel periodo. Uno era un piccolo horror in 16mm che aveva girato per un po’ di festival. Sulla base di quei lavori, e forse anche di un pizzico di follia dello storico editor Mauro Marcheselli, mi è stata data una chance come sceneggiatore per Dylan Dog. Come dico ogni tanto, all’epoca Dylan e io avevamo la stessa età. Ma lui, mannaggia, è rimasto un trentenne, mentre io ormai me la gioco con Kit Carson…

Cosa rispondevi, da piccolo, quando ti chiedevano che lavoro avresti voluto fare?

Fumetti, senz’altro. In realtà all’epoca avrei voluto disegnarli, oltre che scriverli. In seguito avrei scoperto che come disegnatore ero bravo, ma non abbastanza.

E adesso cosa rispondi?

Oggi dico: raccontare storie. Mi piace farlo come sceneggiatore, come regista, come attore e anche come scrittore. Finché c’è qualcuno a cui interessano, io insisto. È sempre, a mio parere, il lavoro più bello del mondo.

Un caso come gli altri è appena uscito per edizioni e/o, diciannovesimo pezzo della collezione Sabot/age. Una delle collane più interessanti del nostro panorama nazionale, molto fedele al suo intento programmatico, grazie al lavoro della sua direttrice, Colomba Rossi, e del curatore, Massimo Carlotto, ma grazie anche a voci come la tua. Cosa senti di aver sabotato, con questo romanzo?

L’idea che tutto vada bene. Che le organizzazioni criminali siano sotto controllo, decimate dalle inchieste, dagli arresti, dai processi. Che stiamo vincendo. Non è così, decisamente. La guerra, la guerra vera per diventare un paese libero, unito e civile, è ancora tutta da combattere.

Un sottotitolo al libro.

Cronaca di un amore criminale. Perché in fondo, come ha detto bene Colomba Rossi, l’intero romanzo è una cronaca. Perché c’è un grande amore, anzi, più di uno. E perché ci sono dei crimini. Molti crimini. Compiuti per dovere, per orgoglio, per vendetta, per mestiere. E anche, purtroppo, per amore.

Una cosa che colpisce fin dalle prime pagine è la potenza della tua scrittura. Credo che il suo talento sia la parola “equilibrio”. Hai calibrato alla perfezione l’incastro tra i dialoghi – sempre fluidi e verosimili – l’azione, il narrato, le veloci pennellate descrittive. Che tipo di lavoro porti avanti sulla scrittura? In questo ha influito l’altro tuo lavoro, ovvero quello di sceneggiatore?

Sicuramente vent’anni di mestiere mi hanno aiutato con i dialoghi e con la struttura. Si tratta sempre di narrare una storia, in fondo. Ma allo stesso tempo ho dovuto sorvegliare la scrittura, per evitare di cadere in certi moduli che ben si attagliano ai fumetti, ma meno bene alla prosa. La sospensione di incredulità che i lettori ci accordano è molto più labile, quando si parla di vicende italiane, con protagonisti italiani. Dunque le situazioni e i personaggi dovevano essere il più possibile realistici, sfaccettati, mai del tutto prevedibili. Forse quello è stato il lavoro più difficile. Anche il mestiere di attore ha fatto la sua parte. Mi piace rileggere sempre a voce alta i capitoli che scrivo. Se sono “recitabili” passo oltre. Se non lo sono, vado avanti a limare. Ho scoperto che in questo modo lo stile si adatta impercettibilmente al protagonista di quel capitolo. Come se quel personaggio – uomo, donna, vittima, carnefice o testimone che sia – di volta in volta prendesse il comando e fosse proprio lui a raccontare la storia. Una dinamica che chi fa il mio mestiere di solito conosce bene.

Il romanzo comincia con due donne in un commissariato, una di fronte all’altra. Due donne molto diverse, con esperienze agli antipodi che però le fanno convergere, in quel preciso momento, verso quella narrazione che parte quando una delle due, Annamaria, vedova di un potente boss, Marcello Nicotra, comincia a parlare e lo fa partendo dalla sua storia d’amore (storia destinata poi a serbare delle sorprese). Interessante questa cornice al femminile…

Mi piace raccontare le donne. Forse perché il mondo femminile mi affascina da sempre. Certo costituisce una bella sfida, per chi appartiene all’altro sesso, scriverne cercando di evitare i luoghi comuni. Alla fine, anche in questo caso, ci si deve innamorare dei propri personaggi. Ci passi insieme tanto tempo, dedichi loro tanti pensieri, tante energie… A me probabilmente riesce più facile amare protagoniste femminili. Mi succede anche nei fumetti, e non di rado i lettori se ne accorgono. Ma se tutto va bene, se ho fatto bene il mio lavoro, alla fine condividono quel piccolo sentimento con me.

Sullo sfondo, uno scenario tutto italiano: le società della ‘ndrangheta allungano i loro tentacoli al nord, dove trovano terreno fertile. Come ti sei documentato per descrivere la situazione che dispieghi dandoci un quadro molto chiaro, da pagina 93? Ovvero: Esponenti delle ‘ndrine ioniche, ma anche clan campani e in misura minore perfino siciliani, avevano preso posizione in diverse comunità della Lombardia, della Liguria e del Piemonte. Per non parlare della Val D’Aosta, in cui le prime infiltrazioni erano avvenute addirittura negli anni di piombo.

Il lavoro di documentazione è cominciato parecchi anni fa, quando decisi di scrivere e dirigere un cortometraggio che conteneva l’idea fondante del romanzo, e che aveva lo stesso titolo. Girammo quel corto in provincia di Torino, con due bravissime attrici di teatro, Grazia Audero e Stella Bevilacqua, una cara amica che oggi purtroppo non è più tra noi. Da quel piccolo film al romanzo sono passati parecchi anni, e tante cose sono cambiate nella conoscenza delle cosche e delle loro strategie. Ho raccolto materiale in rete, sui giornali e attraverso testimonianze di amici e conoscenti. E poi ci ho costruito sopra una trama di fantasia. Mi è capitato però di scoprire che la realtà, in certi casi, era assai vicina a quella trama. Vicina in modo inquietante.

Quindi il passaggio successivo (quello in cui ci dibattiamo poi oggi)è una sorta di alleanza tra le varie realtà mafiose? Oggi come siamo messi?

Di sicuro le organizzazioni criminali hanno fatto un salto di generazione, e di qualità. Hanno infiltrato profondamente, già oggi, realtà produttive e finanziarie a ogni livello, in varie parti del paese. Il prossimo passo per loro è l’Europa. I paesi più ricchi, come la Germania, l’Austria, il Regno Unito. Non esistono più frontiere. L’economia di mercato oramai è globale, e le mafie temo non saranno da meno.

Non posso intervistarti senza parlare del tuo “altro lavoro”. Dal 1994 collabori con la Sergio Bonelli Editore come soggettista e sceneggiatore. Oltre che per Dylan Dog, hai scritto per Tex, Nathan Never, Dampyr, Martin Mystère e sei autore delle miniserie Demian, Cassidy e Hellnoir. Una cosa che ti piace molto del tuo lavoro di sceneggiatore.

La possibilità, propria dei fumetti, di sceneggiare senza badare ai costi di realizzazione. Posso evocare una stazione spaziale, un terremoto, una guerra nucleare o una collisione fra pianeti, scene che in un film costerebbero milioni di dollari, e metterle tranquillamente in qualunque storia. Quando poi rivedo quelle scene, magari disegnate da un grande artista, sono soddisfazioni non da poco.

Una cosa che invece trovi faticosa.

Fissare per tante ore lo schermo di un computer. Ma sembra non se ne possa fare a meno.

Se tu incontrassi Tex, cosa ti direbbe?

Di fargli provare un po’ di buona cucina barbaricina, sospetto. E sospetto anche che lui e il vecchio Kit Carson la apprezzerebbero.

E tu cosa risponderesti?

Li inviterei subito a cena. Due tipi così, è meglio tenerseli buoni.

L’ultima volta che ti sei arrabbiato: raccontaci perché.

Non mi arrabbio quasi mai, però ogni tanto mi indispettisco. Di solito la cosa ha a che vedere con la cattiva educazione del prossimo. Con gli anni, per fortuna, ho imparato a tenere a bada il lato più rissoso del mio carattere. Le scazzottate ormai le riservo ai fumetti.

L’ultima risata di gusto

Con mia moglie Laura, chiacchierando del più e del meno. Ridiamo parecchio insieme. È una delle cose per cui mi ritengo fortunato, molto fortunato, ad averla vicino.

A cosa stai lavorando ora?

Due storie di Tex, che vedranno la luce fra un paio d’anni. E una commedia, che scriverò per il teatro. Una nuova, piccola sfida. Mi intriga non poco.

Salutaci con una citazione da “Un caso come gli altri”.

«Lei mi racconta una storia, Annamaria. Una bella storia d’amore… Ma vede, è solo una parte della verità… Lasci che le parli io dell’altra parte».