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Le Streghe di Lenzavacche di Simona Lo Iacono Edizioni E/O

Testata: Chilidilibri
Data: 11 aprile 2016
URL: http://chilidilibri.altervista.org/le-streghe-di-lenzavacche-di-simona-lo-iacono-edizioni-eo/

Rosalba, insieme a sua madre Tilde, è depositaria di un’antichissima tradizione erboristica ed erede di una temuta stirpe di indovine. Per questo in paese le due sono guardate male e quando arriva il tanto adorato figlio Felice, si arroccano come reiette in una casa sperduta. Felice è il figlio della colpa, di un padre senza nome che non ha lasciato altra eredità che un destino ingiusto. Felice ha la testa storta, non sta in piedi. Nonna Tilde e l’amico farmacista ingegnano per lui un meccanismo che lo tenga ritto in piedi e na giostrina su cui sputare per comporre parole. Ma un giorno Felice sorprende tutti: si incaponisce che vuole andare a scuola. Figuriamoci, pensa Rosalba, chi lo prenderebbe mai in un’epoca che pretende forza e perfezione fisica?

Ma in quel settembre del 1938 arriva in contrada Lenzavacche un nuovo maestro. Ama la cultura, non i banchi di scuola e, sebbene obbligato ad adempiere i compiti ministeriali, si ribella piano alle imposizioni di regime. Anche lui è a suo modo un diverso e il paese se ne accorge, la sua classe si spopola e il suo impiego vacilla. Ma Alfredo Mancuso non è tipo da arrendersi: si rimbocca le maniche è gli studenti li va a cercare per strada, al mercato, raccontando storie, affascinandoli con i suoi racconti sulle disavventure di Giufà. I monologhi di Rosalba, che si rivolge sempre all’adorato figlio Felice, e le missive del maestro a una zia dal nome e indirizzo mai pronunciati, si alternano paralleli, non si incontrano fino a quando si rende necessario escogitare il modo di mandare a scuola Felice che ha espresso questo unico desiderio e si deve trovare il modo per accontentarlo.

Le atmosfere di questo romanzo “stregano” e ammaliano il lettore, lo trasportano in epoche lontane di megere e pozioni, mavarie e pulsioni ancestrali. In una Sicilia assolata e ventosa di Scirocco, con le sue tende svolazzanti all’afa del pomeriggio e scialli e tenerumi.

Il linguaggio dell’autrice stupisce, abbraccia, sprofonda nella natura e nella cultura della sua terra, fra metafore originali e parole della tradizione, reinventa la lingua e la riscopre in quelle stesse parole del dialetto. “Gli occhi che sbocciavano come sassi da un fiume”, “silenzio ossuto”, “Venere in crescenza e Mercurio che profetava sventure”… Un romanzo sorprendente dove tutto sembra fuori posto e invece riesce a trovare la sua collocazione, candidato al premio Strega dove mi auguro riscuota tutto il successo che merita.