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Breve storia d’Italia, vista dall’isola del Giglio

Autore: Valentina Pigmei
Testata: Internazionale
Data: 22 maggio 2016
URL: http://www.internazionale.it/opinione/valentina-pigmei/2016/05/22/isola-giglio-lorenza-pieri

Quando Arturo, nel finale del romanzo di Elsa Morante, lascia l’isola per l’ultima volta, chiude gli occhi. Li riapre solo quando Procida è ormai sparita. Un’immagine che sintetizza bene il sentimento degli isolani verso la loro terra: un enduring love, come direbbe un famoso scrittore britannico, un amore durevole ma anche resistente, paziente, tollerante. A un’isola si concede tutto, si scappa, ci si torna – o non ci si torna più – ma l’isola rimane addosso per sempre. Ci aveva avvertito Elsa Morante: “Quella, che tu credevi un piccolo punto della terra, fu tutto”.

E, lo ribadisce oggi, con estrema grazia, Lorenza Pieri attraverso la voce di Teresa, protagonista del suo primo romanzo Isole minori: “Credo che il mio tratto più caratteristico”, dice Teresa, “sia proprio questo: la mancanza di un contorno nitido. È qualcosa che forse mi accomuna con l’isolanità, con lo scivolar via dell’acqua o il mutare del paesaggio al vento”.

“Tu continente, io isola minore”, dice ancora Teresa di sé e della sorella maggiore. E in fondo Teresa, se fosse stata un maschio, si sarebbe chiamata Arturo.

Ammetto di amare molto e aprioristicamente i romanzi ambientati su un’isola, che sono tantissimi e tra i più diversi (per averne un’idea ecco qui un elenco in lingua inglese). Tuttavia la maggior parte delle isole della letteratura non è su nessuna carta geografica: sono spesso isole fittizie, anche se poi magari si chiamano Itaca o Procida. Perché, come diceva Melville “i luoghi veri non ci sono mai”.

Non sono tanti i romanzi della letteratura italiana legati a un’isola in quanto luogo geografico né tantomeno storico. Se lo sono, come nel caso di alcuni romanzi recenti, le isole rimangono tiepidamente anonime (anche se poi si indovina quasi sempre di che isola si tratta). La tradizione del romanzo d’avventura è piena di isole inventate: da Defoe a Salgari, da Verne a Stevenson o di isole surreali come l’isola di Prospero nella Tempesta, o quella che non c’è di Peter Pan o l’isola di Ocaña in L’iguana di Anna Maria Ortese. “Per tutti, comunque, più che una realtà geografica, l’isola è un’esperienza dell’anima”, scrive Nadia Fusini in Vivere nella Tempesta, un excursus originale tra isole, naufragi e rinascite.

Il Giglio si trasforma in un’isola fantasma durante la bassa stagione

Ricordo un romanzo di qualche anno fa che metteva in scena la storia di un’isola e di un isolano che voleva uccidere Napoleone. Era N. di Ernesto Ferrero: qui era la Storia ad arrivare su un’isola, e del tutto inaspettatamente.

Anche nel romanzo di Lorenza Pieri la Storia arriva sull’isola per ben due volte. La prima nel 1976 quando alla fine di agosto il porto dell’isola del Giglio fu volontariamente bloccato per volere di un gruppo di manifestanti locali e qualche turista: la protesta, che durò due settimane, si opponeva all’imminente arrivo sull’isola di Franco Freda e Giovanni Ventura, i due neofascisti imputati della strage di piazza Fontana, a Milano nel 1969.

Un episodio che ebbe come conseguenza – undici anni dopo la strage – l’assurda condanna a sei mesi con la condizionale di tredici dimostranti su cinquanta. Assurda soprattutto perché nel frattempo Freda e Ventura furono assolti per insufficienza di prove. Il particolare ancora più curioso è che dei tredici condannati nessuno era democristiano, ma tutti iscritti al Partito comunista o al Partito socialista. Tra questi ci saranno proprio i genitori di Teresa (e anche quelli di Lorenza). Teresa è una bambina timida con una sorella molto esuberante, un padre che preferisce il mare alla politica e una madre combattiva detta La Rossa.

Sarà proprio lei a guidare l’affollatissima riunione dei ribelli la sera prima del blocco del porto: c’è chi è indignato perché la loro presenza rovinerebbe quella che è la risorsa vitale di un’isola dove fino “a vent’anni fa si faceva la fame”; c’è chi più idealisticamente se la prende con “la giustizia italiana che protegge i criminali” e teme che non sia casuale la scelta di un’isola da cui sarebbe facile farli scappare.

Chissà se oggi, quasi 40 anni dopo, i gigliesi si ribellerebbero ancora al confino di due presunti assassini bloccando il porto in alta stagione. “Forse no”, dice Pieri, “oggi il Giglio è un’isola svuotata. All’epoca c’erano più isolani che turisti, oggi è il contrario. Il Giglio in ogni caso è un posto strano. È sempre stata una roccaforte di democristiani in una zona della Toscana tipicamente rossa”.

Se culturalmente l’isola del Giglio è un po’ desertificata, la sua natura selvaggia è molto ben conservata

Con millecinquecento abitanti (che d’inverno sono molti meno), il Giglio si trasforma in un’isola fantasma durante la bassa stagione. “A Capodanno di qualche anno fa sono stata a Giglio Porto e c’era un solo bar aperto”, dice Pieri. Un’isola strana dove non c’è una libreria, né una scuola superiore, né un cinema. Non c’è una discoteca, né una biblioteca. Se culturalmente è un po’ desertificata, la sua natura selvaggia è invece molto ben conservata con il contributo attivo del Parco nazionale dell’Arcipelago Toscano di cui il Giglio fa parte dal 1997 (e se non riuscite a visitarla c’è un libro, Isola del Giglio, scritto e illustrato dal biologo e pittore naturalista Federico Gemma, che ritrae l’incredibile fauna e flora dell’isola).

La torre del Campese, isola del Giglio, maggio 2012. - Michele Borzoni, TerraProject/Contrasto La torre del Campese, isola del Giglio, maggio 2012. (Michele Borzoni, TerraProject/Contrasto) Tutto quello che manca all’isola sembra che arriverà presto grazie alla concessione assegnata dall’agenzia del demanio alle sorelle Mura, proprietarie di una azienda fiorentina, che stanzieranno 1,5 milioni di euro per fare di uno dei simboli del Giglio, il faro di Capel Rosso, un museo biomarino, un planetario, una biblioteca e naturalmente un b&b super esclusivo di 4 stanze. Questi almeno sono i progetti. Costruito nel 1883, circondato da arbusti di mirto e di cisto, il faro bianco e rosso è ancora funzionante (ma automatizzato). Per ora a Capel Rosso si arriva a piedi, tramite un breve sentiero alla fine della strada asfaltata e si sentono solo il rumore del mare e le grida degli uccelli.

La seconda volta in cui la Storia è arrivata al Giglio è stata quando una gigantesca nave da crociera – dove di discoteche ce ne erano addirittura tre! – si è letteralmente scontrata con un’isola spenta e svuotata in una notte di gennaio del 2012. La Costa Concordia conteneva in sé tutto quello che mancava sul Giglio: la frivolezza, il mito dell’intrattenimento (sulla nave c’erano tredici ristoranti, tanto per dire).

Il mondo era arrivato al Giglio

Eppure, dopo il dramma iniziale, questo tragico incidente ha portato paradossalmente una folata di energia. “Durante i due anni di lavori del recupero”, racconta Pieri, “dal deserto dei tartari che era, l’isola si è ripopolata. È stato una specie di sbarco degli alleati: improvvisamente sono arrivati questi ragazzoni olandesi e americani con i loro caschetti e gli scarponi antinfortunio. Le ragazze gigliesi hanno ricominciato a farsi belle. Pare sia nato perfino un bambino”.

Niente in confronto ai trenta morti e all’inquinamento emotivo che il relitto ha continuato a provocare per tanti, da qualsiasi scorcio di Giglio Porto:

Ovunque camminassi, da qualunque prospettiva, il relitto era lì, in primo piano. Per evitarlo l’unica possibilità era girarsi di spalle e non guardare il mare. Il porto stesso era un irriconoscibile formicaio di gente, imbarcazioni e tensostrutture di ogni genere di corpo, carabinieri, sommozzatori, vigili del fuoco, speleologi fluviali, giornalisti, camionette con la parabolica di televisioni internazionali. Il mondo era arrivato al Giglio e noi non eravamo per niente preparati.

Se, letterariamente parlando, l’isola è un tempo più che un luogo, in questo romanzo avviene un piccolo miracolo: attraverso l’impianto della saga familiare e una lingua semplice e intima, l’autrice è riuscita a fare di una piccola isola il fulcro politico e sentimentale della narrazione. Un’isola dimenticata dai libri di storia che diventa per un lungo istante la storia in miniatura di quasi quarant’anni del nostro paese.