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Angelo che sei il mio custode, di Giorgia Lepore

Autore: Francesca Schipa
Testata: Diletti e Riletti
Data: 27 settembre 2016
URL: https://dilettieriletti.wordpress.com/2016/09/26/angelo-che-sei-il-mio-custode-di-giorgia-lepore/

Volevamo vedere un fatto di vita, e abbiamo visto un fatto di morte. Ci siamo arresi, abbiamo continuato fino all’ultimo. Ci domanderemo a lungo prossimamente a cosa è servito tutto questo, che cosa abbiamo voluto dimenticare, che cosa ci dovremmo ricordare, che cosa dovremo amare, che cosa dobbiamo odiare. È stata la registrazione di una sconfitta.

La citazione non è estratta da un romanzo, ma è il commento di un giornalista del Tg2, Giancarlo Santalmassi, dopo la morte di Alfredino Rampi, nel giugno del 1981. Trentacinque anni dopo, ricordo tutta la vicenda con altrettanto orrore, compassione, rabbia; ricordo ciò che accadde e quanto questo si infiltrò nelle mie paure fino a sedimentarsi in un blocco scuro. Perché nelle viscere della terra, sotto la terra, privato di passi e luce e aria, l’uomo deve fare i conti con la propria piccolezza. Sono queste le paure che si trova ad affrontare Gerri Esposito in Angelo che sei il mio custode, secondo romanzo di Giorgia Lepore: paura della solitudine, della propria fragilità fisica e psichica, paura dei fantasmi del passato e delle immagini incerte del futuro.

Abbiamo imparato a conoscere l’ispettore Esposito, il seducente Gerri, ne I figli sono pezzi di cuore: uomo senza famiglia, bambino che subisce un abbandono senza capirne i motivi, ma cresciuto sotto la protezione affettuosa di un prete e di una suora laica, vive in perenne bulimia d’amore, consumando sesso e sentimenti per poi rigettarli. Paura di legarsi, timore di non essere all’altezza di un impegno, animo zingaro, cuore errante, Gerri ama, ma non sa amare come le donne attorno a lui gli chiedono, spezzando cuori e suscitando reazioni talvolta rabbiose nelle sue partner di più o meno lunga durata.

Né riesce a vivere la professione come i suoi superiori vorrebbero: l’istinto unito a un’incessante ricerca di tutti i dati disponibili lo guidano verso una soluzione: ma i suoi inarrestabili percorsi zigzaganti sembrano portarlo anche senza sosta verso il pericolo.

In Angelo che sei il mio custode, quando inizia ad indagare sul ritrovamento dello scheletro di un bambino cui segue la sparizione di due minori, Gerri non riesce ad agire diversamente dal solito, non può: sprofonda –letteralmente- in un’indagine complessa sul piano investigativo quanto dolorosa sul piano personale. I bambini scomparsi, strappati alle famiglie, sono anche il Gerri bambino, che ha visto cancellare il proprio nome e la figura materna da una sera di pioggia: i piani si confondono e si scindono in continuazione, e questo non fa che aumentare la determinazione fino all’incaponimento nell’indagine che vede in azione, oltre al superiore/figura paterna Alfredo Marinetti, anche una specialista in sparizione di minori, Giovanna Aquarica.

Incapace di discernere le cavità oscure della sua anima da quelle reali e non meno misteriose che si diramano sotto il santuario di Monte Sant’Angelo, Gerri non può accettare la sconfitta: perdere la vita di un bambino nelle grotte non è un prezzo che l’ispettore intende pagare. Riportare alla luce, alla vita, alla famiglia il bambino scomparso è un’operazione necessaria innanzitutto a lui, per risolvere i conti col buco nero che si è aperto anni addietro nel suo passato.

La nonna una volta gli aveva detto che non bisogna avere paura della morte, perché c’è il Paradiso e si diventa angeli. Ma lui ora un angelo non voleva diventarlo, anzi, gli angeli gli facevano proprio schifo adesso, e stranamente anche prima gli avevano fatto sempre un po’ di paura. Voleva essere un bambino, crescere e giocare a pallone. Sarebbe diventato un campione, era sicuro.

La narrazione della vicenda dei bambini scomparsi, dei misteriosi culti legati alla figura dell’arcangelo Michele, di un territorio affascinante e aspro come quello della Puglia settentrionale procede di pari passo con la descrizione di un uomo contemporaneo, vero, raramente perfetto e forse per questo capace di scavare un posto nel cuore lettore di molti. Gerri Esposito è un personaggio cui è semplice legarsi, perché sa come parlare di se stesso e della sua vita, senza prosopopea né falsi pudori, senza nascondere gli strappi, le involuzioni, l’incapacità di mantenere un legame e la sua evidente capacità di sedurre. E questo molto si deve alla scrittura di Giorgia, che usa un linguaggio accurato ma sempre molto leggibile, ricco di spunti dialettali come di notazioni tecniche, storiche, artistiche, ma scevro di nozionismo e di ogni pesantezza.

La suspense e la lettura intima, la sofferenza interiore e l’indagine, strettamente intrecciate, invischiano il lettore in un’atmosfera cupa, sotterranea, soffocante, degna dei migliori noir e del brillante ingresso di Giorgia Lepore nell’amata –da me, da molti- collana Sabot/Age delle edizioni E/O.