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Un palazzinaro sulla soglia di un amore imprevisto

Testata: SuperAbile Inail
Data: 22 novembre 2016

Davide è un 35enne bello, viziato, abituato ad avere tutto e subito: donne, soldi, successo. Lo governa «un processo mentale che nel suo caso ha sempre avuto l’algida logicità dei sistemi binari: ti piace-prendilo». Ma all’improvviso, per caso, rimane impigliato sul pianerottolo di un palazzo in Ursula, «ragazza con occhiali scuri, cane guida al fianco e bastone bianco in mano», e nel suo mondo parallelo «lontano dal suo nel quale imperano gli odori, i suoni». Lei è diventata cieca a sette anni, lavora part-time in un call center e si appiglia a poche certezze: l’amica Loredana, il labrador Bau che a sua volta ha perso la vista a causa del diabete, un appartamento di cui conosce ogni centimetro, il capolinea dell’autobus sotto il suo ufficio. Attorno a questo incontro imprevisto e destabilizzante si dipanano con ritmo cinematografico le pagine del quinto romanzo di Fabio Bartolomei pubblicato da e/o, La grazia del demolitore, ispirato al cortometraggio Interno 9, scritto per la regia di Davide Del Degan, vincitore del Globo d’Oro 2004.

L’ossimoro contenuto nel titolo suggerisce la metamorfosi di Davide, costruttore alle prime armi, che inizia a spiare Ursula e se ne innamora platonicamente, passando all’atto in modo indiretto: invece di procedere con la distruzione del palazzo in cui la donna abita, opta per una ristrutturazione radicale, che renda accessibile ogni angolo del circondario e del quartiere, perché lei possa muoversi agevolmente. Marciapiedi disconnessi si trasformano allora in vie praticabili, mentre compaiono targhe scritte in Braille all’ingresso del parco e fioriere odorose intorno allo stabile. L’amore non dichiarato si dissemina in tanti gesti che parlano, più che di accessibilità raggiunta e capace di generare sorrisi sorpresi, della scoperta da parte di Davide di uscire da se stesso, dai suoi desideri autoreferenziali, per mettersi nei panni di Ursula, cercando di intercettare le sue esigenze e di facilitare per quanto possibile la sua quotidianità. Lei, un po’ ruvida e con un vocione mascolino, non suscita pietà nel lettore, ma ammirazione per la sua forza nell’accettare un deficit acquisito nell’infanzia: non permette alla cecità di schermare il suo rapporto con gli altri, con il mondo circostante.

È Davide, all’inizio goffamente, poi con delicatezza, ad accostarsi in incognito a Ursula, nel tentativo di carpirne il fascino. Passa da gesti di cortesia non graditi, dall’ebbrezza di essere invisibile esercitando il controllo su di lei («prova di divinità», le definisce l’autore), alla volontà di scomparire per fare spazio a lei, alla sua «mappa fatta di materie, odori e rumori», restituendole punti di riferimento che non la facciano sentire «isolata dal mondo, intrappolata in un vuoto ostile». La mancata demolizione del palazzo in cui abita l’inquilina cieca, dunque, diventa metafora di una ristrutturazione dell’io del protagonista, di una ricostruzione di sé a partire da altri valori e punti di riferimento esistenziali. Diversi dall’arrivismo cinico di suo padre, dalla finta svagatezza della madre. Sembra quasi che dai suoi occhi cada un velo per lasciare spazio a una consapevolezza inedita: «Rendere percorribile un isolato, un altro, un altro ancora, poi la città intera e infine tutto il pianeta è il magnifico delirio che ogni notte accoglie il corpo stanco di Davide, che lo ristora all’istante e lo fa saltare giù dal letto poche ore dopo essersi sdraiato per estendere il suo progetto, per regalare a Ursula altre porzioni di mondo». Interventi che spingono «le persone a comportamenti più rispettosi».