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Storia naturale della crudeltà

Autore: Leonetta Bentivoglio
Testata: Robinson - La Repubblica
Data: 12 febbraio 2017

Fin dal verbo che compare nel titolo, questo è un libro declinato per intero al presente. Si chiama Resta la polvere, e i fatti vi si avvicendano con l'immediatezza dell'esistenza. Il tempo è fermo: niente tradizioni, affetti, identità, prospettive, speranze. Sappiamo che i legami costruiscono memorie e plasmano il passato, e che le aspettative illuminano il futuro. Ma non accade nulla di tutto ciò in Resta la polvere, romanzo acido e sorprendente (in Italia lo pubblica e/o) firmato da Sandrine Collette, scrittrice molto premiata in Francia.

Le cronache ce la descrivono (oltre che come una docente universitaria) come un'allevatrice di cavalli, e in effetti la sua empatia col regno animale emerge come una caratteristica fondante del suo estro tenebroso. Resta la polvere ci consegna un'avventura complessiva, e un gruppo di selvatiche figure, che aggrediscono il lettore come colpi di pugnale assestati con giudizio e ferocia. Senza mediazioni letterarie. Senza sfumature di coccole al lettore. Niente psicologie. Nessun afflato di redenzione. Nessuna espiazione per i personaggi. Ogni parvenza di sentimento viene oscurata da un'assoluta deromanticizzazione.

La vita divora, col suo spietato incedere e i suoi primari istinti di sopravvivenza. La vita è pari alla morte, perché sempre presente. Lo spazio mitico dell'ambientazione, in un'epoca imprecisata, riflette un'arida Patagonia, a sud dell'Argentina. Luogo di furie climatiche, terre ingenerose, padroni arroganti, servi derelitti che avanzano imprecando tra i pascoli ispidi e i pianori bassi sui dorsi dei loro esausti ronzini.

L'inizio è magnetico: due truci gemelli di dieci anni, Mauro e Joaquin, torturano il fratellino Rafael, devastando il suo minuscolo destino — è un pargolo di quattro anni — con reiterate manifestazioni di sadismo: lo inseguono montando cavalli lanciati al galoppo, lo afferrano per il collo, lo sollevano e gareggiano nel trascinarlo intorno alla fattoria, prima di farlo rotolare nella polvere.

Le sue gambe corte da insetto tremebondo brancolano angosciosamente nel vuoto, e il suo straziato pigolare provoca il riso dei carnefici. Questa battute di caccia traducono Rafael in un grottesco martire che cresce nella paura e nel più sordo desiderio di rivalsa. C'è poi un quarto fratello, Steban, un mezzo idiota, nato due anni dopo i gemelli e voglioso di emularli partecipando ai loro giochi osceni.

Sui quattro figli domina, con l'immensità di un fosco autoritarismo, la madre. Non ne conosciamo il nome: è semplicemente "la madre". Colma d'odio e di rancore. Rude, sfinita, rapace. Ha fatto sparire il marito, ubriaco e violento. Fa sgobbare i ragazzi nella fattoria isolata dove tutti hanno fame, uomini e animali. Non è mai consolatoria né accogliente. Abbaia ordini. Governa con rabbia. Fa dei ragazzi i suoi schiavi. Francamente li detesta: "Certe volte pensa che avrebbe dovuto affogarli appena nati, come si fa con i gattini indesiderati. Solo che va fatto subito. Dopo è troppo tardi. Non perché ci si affezioni, è che non è più il momento e basta. Dopo ti guardano. Hanno gli occhi aperti".

In questo labirinto di solitudini e disperazioni morali, l'unico rapporto nutrito di qualche minima sostanza calda è quello di Rafael col suo cavallo Halley. Tra loro si è stabilito un dialogo segreto. Un giorno Halley lo porta lontano, verso un'inspiegabile fortuna, e Rafael si imbatte in un vecchio ferito che scappa con un cospicuo bottino. L'anziano ladro muore stecchito, Rafael si trova all'improvviso ricco e decide di tornare all'"estancia" per dare i soldi alla madre. Spera di affrancare la famiglia dal bisogno e di meritare un ruolo meno infimo nel contesto. Ma sarà proprio quella borsa piena di denaro a far precipitare la vicenda in una spirale distruttiva ancora più profonda.

La prosa si mantiene ovunque asciutta e impressionante. Richiamano Faulkner il tema della disintegrazione di un nucleo umano e la storia id una famiglia narrata in modo polifonico dai suoi membri (vedi L'urlo e il furore); e rammentano i climi di allucinazione fredda cari a Cormac McCarthy i paradossi tragici e l'efficace secchezza di questa fiaba nera che è anche un western esistenziale, privo di vincenti.