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Intervista a Chiara Mezzalama

Autore: Lucia Ravera
Testata: Mangialibri.com
Data: 18 novembre 2009

Chiara è nata a Roma nel 1972. Ha viaggiato tra il Marocco e l’Iran, fa la psicoterapeuta e ha pubblicato racconti prima di approdare alla forma-romanzo. La sua prima prova in questo genere è una storia spessa e densa, molto femminile, molto attuale, scritta con sensibilità e promettenti capacità narrative. Facciamoci raccontare qualcosa di più dalla giovane autrice.
Come è nato il tuo Avrò cura di te? Quanto ha influito il tuo errare nel mondo e quanto c’è del tuo occhio “clinico” di psicoterapeuta nel raccontare la storia di Bianca e Yasmina?
Avrò cura di te nasce da un’attesa. Quella di chi sta sulla banchina ad aspettare un treno. La copertina del libro ci mette subito in contatto con la storia. L’idea è nata proprio dalla stazione come luogo di accesso, un luogo che evoca il viaggio, la partenza, ma anche la fatica di chi aspetta il ritorno. Entrambe queste dimensioni sono presenti nella mia esperienza di figlia di un diplomatico. C’è la scoperta di paesi sempre nuovi ma anche il senso di sradicamento, di non poter scegliere se andare o restare. È un po’ quello che succede a Bianca, che è arrivata a Roma con un treno ma da quel momento in poi decide di restare sulla banchina. L’occhio “clinico” cerco di tenerlo nella stanza di terapia ma è certo che quello che mi interessa maggiormente è il mondo interno, il lavoro sui personaggi. È uno sguardo sulle cose.
 
Il viaggio. Come spostamento fisico da luogo a luogo; come fuga, come ricerca di sé. Il viaggio, restando fermi… Nel tuo romanzo hai descritto le diverse possibilità offerte dal viaggio. In particolare ti sei soffermata su due concetti: il viaggio del corpo e quello al termine della notte, che rievoca la metafora del “pozzo nero”. Vuoi raccontarci qui il significato di questi particolari nomadismi, che sono tra l’altro una cifra d’identità della letteratura femminile di tutti i tempi?
Si parte sempre da se stessi, in qualsiasi viaggio. E per una donna è impossibile prescindere dal corpo. Il corpo della donna segna le stagioni della vita e non è sempre facile farci i conti. Spesso il viaggio del corpo diventa un viaggio al termine della notte. Per questo ho scritto di due donne che in maniera diversa sono esposte a situazioni estreme. Si potrebbe dire che Bianca reagisce in maniera verticale, per lei tutto accade all’interno mentre Yasmina reagisce in maniera orizzontale, cerca di salvarsi dall’esterno, attraverso le relazioni con gli altri. Per viaggiare, e per vivere direi, servono entrambe queste coordinate. Mi piace la parola “nomadismo”, c’è un verso di Marina Cvetaeva che recita "un mondiale nomadismo è cominciato nel buio"... ogni cambiamento del corpo di una donna porta ad un viaggio, se si pensa alla maternità! Una donna è nomade anche se nasce, vive e muore nello stesso luogo. La nonna di Yasmina rappresenta questo; sta ferma ma viaggia con la mente attraverso il deserto, nelle vene ha del sangue berbero.
 
Le protagoniste del tuo libro sono due donne, per molti versi lontane. In realtà Bianca e Yasmina hanno un enorme bisogno di sentirsi accettate, a maggior ragione in quanto donne. Yasmina sembra avere più coraggio. Parte, cerca il suo “nido”, senza mai fermarsi. Bianca, invece, ha paura, rinuncia a una relazione che non sa dove la condurrà, rinuncia alla maternità, resta a guardare i treni che corrono… Dove sta il punto d’unione tra le due, in cosa consiste il nodo da sciogliere per entrambe?
Un amico ha fatto un commento sui due personaggi nel quale mi sono ritrovata: Bianca e Yasmina hanno i recettori l’una per l’altra: Bianca trova in Yasmina il suo lato orientale e Yasmina trova in Bianca quello occidentale, il nero dentro il bianco e il bianco dentro il nero. Si integrano creando una sorta di “meticciato interiore” come lo ha chiamato questo amico. Proprio il contrario di ciò che sta accadendo in questo momento nel nostro paese in cui tutti cercano di espelle il nero che hanno dentro e di proiettarlo sugli altri. È questo il nodo da sciogliere. Il romanzo è molto più ottimista della realtà… Yasmina dice nel prologo: - è più facile fare un nodo che disfarlo -. Infatti le due donne si “annodano” e si salvano.
 
La scrittura e la lingua, intese come opportunità di cercarsi, incontrarsi. Bianca e Yasmina hanno un rapporto intenso con la parola. Riescono a comunicare coi suoni… Qual è il senso, il valore della scrittura e della lingua per Chiara Mezzalama? Quale la portata della scrittura per molte autrici di oggi?
Intanto la lingua. Sono cresciuta in luoghi dove si parlavano altre lingue. Credo che questo abbia contribuito al fascino che il linguaggio esercita su di me. Il suo mistero. Non erano parole intelligibili ma suoni, appunto. Il senso di straniamento ha prodotto anche il bisogno di radicamento nella mia lingua madre. Mi piace giocare con le parole, è un gioco serio perché mi sembra di riuscire davvero ad esprimermi solo scrivendo. È stato così fin da quando ero ragazzina. Ci sono molte donne che scrivono,  che scrivono bene. Il problema semmai riguarda la lingua. È un problema generale della letteratura contemporanea che tende a semplificare la scrittura, a renderla molto diretta, schietta, ad esempio con frasi brevi, senza punteggiatura. In certe situazioni funziona, ma semplificando la lingua si semplifica inevitabilmente anche il pensiero e questo è un grave limite, secondo me.
 
Alberto. Personaggio maschile del tuo romanzo, trait d’union tra le due donne. Finalmente un uomo che all’interno di un romanzo scritto da una donna non viene messo all’indice. Perché questa scelta? Desiderio di conciliare, fare pace con l’altro sesso, oppure che altro?
Alberto è un “traghettatore”, fa nascere Bianca amandola e porta Yasmina fuori dal Marocco. Ha un ruolo fondamentale nel libro, senza di lui le due donne non sarebbero quelle che sono. Credo molto a questo bisogno di integrare maschile e femminile. L’universo maschile mi interessa. Sembrerà un po’ fuori moda ma credo nell’amore coniugale. Ho persino un marito! Ho due figli e penso che la funzione paterna sia qualcosa di fondamentale nella crescita dei bambini. Certo, ci sono degli uomini che fanno cose atroci, penso soprattutto alla violenza, cose che una donna non farebbe mai. Ma questa non è una buona ragione per metterli all’indice.
 
La letteratura femminile ieri e oggi. Cosa è cambiato a tuo avviso? Di cosa scrivono adesso le donne? Dove stanno portando la letteratura?
La letteratura femminile parte spesso dal femminile. In genere l’opera prima di una donna ha come protagoniste le donne, come nel mio caso. È come se ci fosse ancora bisogno di circoscrivere un’area, un territorio, darsi una legittimazione. Mi piacerebbe che si potesse parlare un giorno di letteratura senza specificare “femminile”; che le donne scrivessero di avventura, fantascienza e guerra… credo che questo mutamento stia avvenendo. Ci sono bravissime scrittrici di gialli, per esempio. A questo proposito mi piacerebbe scrivere qualcosa mettendomi nei panni di un uomo.
 
Ci sono autrici che preferisci e qual è a tuo avviso la caratteristica che le contraddistingue?
Ci sono autrici che ho amato moltissimo. La più importante è stata per me Simone De Beauvoir, forse perché l’ho letta tutta di seguito negli anni cruciali dell’adolescenza. Mi rispecchiavo in lei, nella sua libertà, nell’amore per la scrittura, nella sua intelligenza. Forse fu proprio allora che cominciai a sognare di scrivere. Tra le autrici contemporanee italiane amo molto due poetesse, Antonella Anedda e Laura Pugno, credo che si tratti dell’uso della lingua, qualcosa che ti scortica, che ti entra dentro. La lista è lunga adesso che ci penso. Adoro Fred Vargas, questo devo dirlo!
 
Tre buoni motivi per leggere il tuo romanzo?
È scritto bene. È attuale (ahimé). Il terzo motivo lo dicono i lettori: quando cominci non riesci a smettere.