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La vita, un'assurda prigione

Autore: Andrea Melis
Testata: La Nuova Sardegna
Data: 11 novembre 2008


Massimo Carlotto torna in libreria con un monologo che è una pallottola sparata in pieno petto. Stavolta la scrittura asciutta dell'autore padovano dipinge un ritratto della famiglia italiana senza usare calze velate sull'obiettivo o lifting antirughe. Un racconto che ci guarda in faccia con verismo impietoso.

E' un ritratto che riguarda noi, il nostro vicino di casa e una moltitudine di persone che affrontano il vivere quotidiano nella frustrazione dei perdenti. Perdenti rispetto a cosa è facile dirlo. Nelle case degli italiani non ci sono le persone sorridenti e ben nutrite delle pubblicità del Mulino Bianco, durante le nostre tragedie domestiche non ci sono le risate in sottofondo a sdrammatizzare, come nelle sit-com televisive, non c'è un nonno Libero a rimettere sempre le cose a posto. Le famiglie italiane ormai sono diventate delle piccole monadi dove si sfogano tutte le tensioni della società, tutte le frustrazioni che disoccupazione, crisi ideologica e assenza di luoghi di aggregazione fanno esplodere in tragedia. Figli che uccidono i genitori, genitori che uccidono i figli.

Questo accade nei casi più eclatanti, che trovano ribalta in televisione, ma ci sono tanti modi di invecchiare e morire da perdenti. La madre protagonista del racconto ad esempio percorre la sua vita a passi pesanti, sorretta nella solitudine esistenziale dal vizio della bottiglia, ossessionata dal rito della spesa. Tra fobia pura e spirito di sopravvivenza passa infatti in rassegna i prezzi di tutti i supermercati che conosce, i discount e supermegadiscount, dove rosicchiare qualche centesimo sui pelati o sui piselli surgelati sembra dare un senso profondo al suo ruolo di donna e mamma.

Con lei vive un marito che ha perso il buon lavoro di un tempo e ha strappato la tessera sindacale, e ora si accontenta di farsi sfruttare nel magazzino di un super market, su e giù per giornate intere, alla guida di un muletto, affaticato a sistemare le infinite merci che lui non può neanche permettersi di comprare. La donna ne soffre, il marito anche, la loro povertà è argomento di frustrazione e ricatto. Per lui è pure causa di impotenza sessuale e debolezza psicologica. La protagonista infatti calcola persino quanto costa ogni singolo rapporto dovendo ricorrere al costosissimo viagra, e lo rinfaccia al marito. D'altronde adesso è costretta ad andare a servizio tutta la settimana nelle case dei ricchi, e lì può toccare con mano com'è invece la vita di chi ha svoltato: il cibo di prima qualità lontano anni luce dai surrogati da discount, le vacanze nei posti esclusivi, le conoscenze altolocate.

Così marcisce l'animo di una donna che corre verso il precipizio, guidata dai binari del rimpianto e dell'invidia. A consolarla resta per fortuna una figlia bella e vivace per la quale già immagina un futuro luminoso che sistemerà tutti: entrare nel mondo dorato della televisione per diventare ricca e famosa. Velina, letterina, ballerina o attricetta poco importa. Magari sposare un calciatore o un pezzo di figliolo come Costantino. Lo sogna ad occhi aperti, sua madre, e nemmeno vuole prendere in considerazione che la sua bambina voglia invece studiare, avere amicizie vere, crescere come una persona normale. Il conflitto diventa allora totale, e dai piccoli dispetti quotidiani si passa ad una guerra che scava un solco profondo tra madre e figlia.

Per la protagonista e il suo mondo non c'è alternativa a questo sogno. Fuori dalla televisione è certa che la sua bambina si farà mettere in cinta da qualche perdente del quartiere per finirla a tirare su un'altra famiglia di sfigati, uguale identica alla loro. E questo è inammissibile. Ciò che però fa da cornice a questo ritratto è un'accusa precisa, che solleva dai singoli le responsabilità dello sfascio e punta il dito verso i massimi sistemi. Qualcuno ha lasciato le famiglie allo sbando, ci ha tolto le piazze per farne parcheggi, e dei gloriosi circoli ricreativi e del dopolavoro, data l'assenza di lavoro, non resta proprio nulla. Le sedi dei partiti sono decisamente meno frequentate delle agenzie interinali e si vive sigillati nelle proprie angoscie. L'unico rapporto con la realtà esterna diventa veramente la televisione. Peccato però che sia una finestra sul nulla, perché altrove arrancano migliaia di famiglie proprio come la nostra. Anche la protagonista infondo ricorda con nostalgia straziante quando il marito la portava a ballare e lei si sentiva bella e felice, stretta sul suo petto, sulle note de “Il cielo in una stanza” di Gino Paoli. Credeva che di quel cielo ne spettasse un pezzetto pure a lei. Ma adesso sono tempi bui, e niente più niente al mondo potrà restituirle i suoi sogni.