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La contadina scompiglia il cuore di Amos

Autore: Elena Loewenthal
Testata: La Stampa – Tuttolibri
Data: 27 marzo 2010

La parola «gentile» ha nell'accezione comune un unico e univoco significato: l'aggettivo indica una forma di mitezza che è anche capace di stare al mondo. Ma per il mondo ebraico questo non è il solo modo per usare la parola, che forma una derivazione di «gente», «genti». Gentile indica, in parole povere, «appartenente a un altro popolo» ed è la traduzione letterale, quasi assonante, dell'ebraico goy. E basta un rapido sguardo al passato del popolo d'Israele per capire come non di rado, anzi spesso, i due significati della parola siano entrati in collisione, invece di comunicare: insomma, negli ultimi duemila anni i gentili sono stati assai poco gentili. Per questo a volte «gentile» ha, nell'uso ebraico italiano, assunto tra le righe una sfumatura di sprezzo, di distanza diffidente. Non è certo questo il caso de La sposa gentile, l'ultimo romanzo di Lia Levi, già nota al pubblico italiano per vari romanzi, fra cui Una bambina e basta e Tutti i giorni di tua vita. Perché Teresa, la protagonista di questa storia ebraico-piemontese, è una «gentile» che accoglie entrambi i significati del termine e sembra quasi vivere proprio per conciliarli. La vicenda di questo racconto sommesso, quasi sottovoce che è un po' da sempre la storia degli ebrei in Piemonte, si svolge tutta tra Saluzzo e Cuneo, con qualche rara puntata – più per sentito dire che di persona – nella grande Torino. Inizia con le perplessità di un giovanotto brillante che capisce di dover prendere moglie, prima o poi. Il lettore segue Amos Segre nel suo pigro corteggiamento di Margherita, un buon partito e anche affascinante, a modo suo. Ma tutto si spezza nel momento in cui la contadina Teresa fa il suo ingresso nella storia, destando lo scompiglio nel cuore di Amos ma soprattutto in tutto ciò che lo circonda. Saranno la pazienza di Teresa – ma anche la sua pacata intelligenza – e la sua vocazione di madre – avrà quattro figli da Amos – e la sua fedeltà a rimarginare le ferite. Fedeltà non tanto coniugale, ovviamente, quanto in un senso ben più ampio. Perché cominciando dalla cucina Teresa finisce per condividere il destino ebraico, senza risparmiare nulla a se stessa. Nemmeno le leggi razziali, che arrivano più o meno quando questo libro finisce.

Non è difficile intravedere in questa parabola esistenziale tracciata da Lia Levi la vicenda biblica di Rut, la donna moabita che decide di condividere la sorte del popolo ebraico. Rut ha sposato un israelita giunto nella sua terra a seguito della carestia, nel è rimasta ben presto vedova, ma quando sua suocera decide di tornare a casa lei la accompagna perché quello è ormai il suo destino. Rut troverà in Terra Promessa un altro marito, e di lì a qualche generazione da quel ceppo nascerà re Davide.

Tanto l'eroina biblica quanto la contadina Teresa prendono in mano il proprio destino conmitezza, ma anche con quella decisione che solo l'amore è capace di imprimere.