Reincarnation Blues, primo romanzo di Michael Poore a vedere la luce in Italia, è di quelli che possono intimorire. Opera complessa, corposa, ambiziosissima, sul momento mi ha affascinato e un po' spaventato. L'ho voluto presto perché sì, ma nessun momento sembrava quello propizio. Sapevo che avrei dovuto leggerlo – mi sarei perso altrimenti qualcosa di pazzesco –, ma temevo di non apprezzarlo troppo. L'autore, infatti, spazia nei generi, nelle epoche, nello spazio e nel tempo, come se il suo blues metafisico altro non fosse che un immenso puzzle. E se la sua fantasia iperattiva fosse stata troppo per me, che amo spesso restare coi piedi per terra? E se, come in Vita dopo vita, mi fossi annoiato? E se, peggio ancora, a furia di salti e balzi non mi fossi affezionato al protagonista?
Milo è l'anima più antica del mondo. Non per questo, però, la più saggia. Ha vissuto la bellezza di 9.995 esistenze – da animale, pianta, uomo e donna, etero e gay – e, pronto a reincarnarsi di nuovo, scopre che il suo tempo sta per scadere. Glielo comunicano nell'Aldilà, il luogo a metà strada in cui finisce dopo ogni dipartita: costeggiato da un fiume che ora prende e ora toglie, suddiviso in quartieri, popolato da spiriti in attesa di una svolta e da forze primordiali che hanno assunto eccezionalmente le fattezze di Nonna e Ma', consigliere affettuose, con nugoli di gatti randagi tutt'attorno e il pugno di ferro. Ogni volta è lì, in quel limbo in cui è impossibile trasferirsi per sempre, che Milo può ricongiungersi all'amata Suzie, alias la Morte: donna appassionata e carezzevole, vorrebbe licenziarsi dall'impiego di tristo mietitore – anche se la sua onorata professione la ha permesso di conoscere perfino il nostro San Francesco, che la definiva sorella nel suo cantico – per aprire un negozietto di candele.
Erano complementari, come solo le persone che sono state assieme centomila volte sanno essere.
A un'anima straordinaria toccano un amore straordinario e qualche vita extra per raggiungere la Perfezione. Sopravvalutata, a detta sua, ma stavolta non sono concessi errori di percorso: il protagonista ha cinque tentativi per essere un uomo esemplare, altrimenti svanirà. Quando non ci saranno più altre occasioni, quando non ci saranno soprattutto altri decessi, cosa sarà di lui e di Suzie – legati, ma per la morte?
Ogni capitolo di Michael Poore è una storia, un'esperienza, un mondo inesplorato da battezzare dal nuovo. Come fosse una silloge di racconti eterogenei – uniti però dalla stessa cornice narrativa, e con un protagonista che ovunque ovunque sia avrà il fiato corto per l'asma e un nome che ispira dolcezza –, Reincarnation Blues è una lettura, al pari della Confessione di Roman Markin, che ne contiene tante in una. Si oscilla dal noir allo storico, dalla fantascienza alla distopia, in cerca di quello che tutti cercano: un senso. Non lo trovavamo in Stoner, e quello in fondo era il bello – un bello che nella sua banalità, nella sua semplicità, ci somigliava. A volte Milo è un figlio di papà che vorrebbe costruire una sala da ballo sul sole per rubare la verginità alla dama di turno; altre, un artista di strada che sogna di fare il giocoliere con l'acqua. Ora è un aspirante serial killer che la Perfezione spererebbe di raggiungerla con un omicidio senza sbavature; ora l'allievo prediletto di un Buddha malato di Alzheimer. Talora è uno studente ingiustamente condannato a scontare la pena in una prigione galattica, che da capro espiatorio diventa leader di una pacifica comunità di galeotti; talaltra, invece, l'abitante di un'isola che non c'è, minacciata dalla malvagità della natura e dalle violente colonizzazioni del Cartello.
Le persone sono terrorizzate a morte dalla felicità.
La saggezza non si impara e non si insegna: la saggezza non esiste. Ci si sbaglia, anche ritentando. E ogni volta, nonostante più possibilità implichino maggiore solitudine, la magia è la stessa. Se la vita è un sogno, in Michael Poore – un Morfeo giocoso, leggero e dissacrante quanto i colleghi Vonnegut, Gaiman e Adams – è un lunga, lunghissima dormita, in cui il risveglio lascia un sorriso pacifico e qualche riserva all'indomani della lettura. Una volta che ne fai tuo il ritmo, viene inevitabilmente meno la sorpresa iniziale. E il romanzo, piuttosto schematico nella struttura e con un'ultima vita, a un passo dalla chiusura, che regala purtroppo il capitolo meno poetico, si limita a muoversi esclusivamente in vista dell'obiettivo preannunciato. Rischiando di apparire un esercizio di stile, e di immaginazione; una sinfonia impossibile da dirigere. Il direttore d'orchestra getta di lato la bacchetta, così, strappa lo spartito, e preferisce andare a orecchio. A cuore sciolto.
Il mio voto: ★★★★