Milo è un’anima molto antica. Si è già incarnata quasi diecimila volte e non sembra avere una gran voglia di raggiungere la perfezione, che ha l’aria d’essere piuttosto noiosa. In questo lunghissimo arco temporale ha avuto modo di allacciare una liaison dangereuse con la Morte e disperdersi fondendosi con la Superanima vorrebbe dire rinunciare per sempre a Suzie, come la sua inquietante amica si fa chiamare.
Quello che non sa e scoprirà presto è che le anime non sono immortali. Hanno una scadenza, pur se di lunga conservazione... Precisamente diecimila vite, trascorse invano le quali vengono cancellate come inutili scorie di un sistema che non tollera le imperfezioni. A Milo restano cinque tentativi per raggiungere il Nirvana o scomparire.
Questa, a grandi linee, la trama del fantasy filo buddhista di Michael Poore, «Reincarnation blues» (E/O, traduzione di Gianluca Fondriest).
Il protagonista ci guida attraverso decine di mondi fantastici, del più remoto passato e del più lontano futuro: tutti accomunati dalla fragilità della condizione umana.
La filosofia orientale si fonde armoniosamente col romanzo popolare di genere. Nelle descrizioni di alcuni inferni concentrazionari situati nello spazio si avvertono echi dostoevskijani.
Si va, nientemeno, sul Sole, passando per l’India antica, Vienna, la preistoria. Né possono mancare le incursioni nel mondo animale e vegetale (è noto, infatti, che “anche un filo d’erba può essere Buddha”...), con l’anima di Milo che è ora albero, insetto, vitello.
Poore è un insegnante e la sua opera è piena di riferimenti letterari. Vi si percepisce con chiarezza l’incontro con Kurt Vonnegut (Piano meccanico, ad esempio, con la descrizione di un futuro automatizzato), Neil Gaiman e Terry Pratchett (in Reincarnation blues si respira la stessa ironia parodistica e abbondano i riferimenti eruditi del romanzo a quattro mani «Buona Apocalisse a tutti»).