Login
Facebook
Twitter
Instagram
Newsletter

Donne a perdere, cronaca in bello stile sul malessere di una società angosciata

Autore: Lucilla Noviello
Testata: il messaggero.it
Data: 4 maggio 2010

Leggiamo tre storie unite in un unico volume, Donne a perdere, a cura di Massimo Carlotto , presentato da e/o Edizioni e scritte da quattro autori differenti: Michele Ledda, Soluzioni finanziarie; Ciro Auriemma e Renato Troffa , Sette giorni di maestrale e Piergiorgio Pulixi Un amore sporco. Quello che ci trattiene e stimola il nostro interesse, all’interno di queste pagine, non è solo il tema - a volte triste, a volte tragicamente privo della realizzazione di una speranza - che unitamente percorre le tre opere, ma lo stile della scrittura. Esso diventa infatti raffinato nelle mani di questi autori che - anche se non giovanissimi di età - lo sono in campo letterario.

Lo stile di Michele Ledda, per esempio, è lucido e freddo. L’autore non è insensibile alla sua stessa narrazione, ma il distacco emotivo gli permette di illuminare una storia di usura, angoscia e denuncia sociale dall’esterno, avvolgendo il lettore in spire che non sono di immedesimazione, ma che si sciolgono rivelando un percorso di denuncia. Come ben sottolinea Massimo Carlotto nella sua presentazione, l’indagine che questi autori svolgono, prima di scrivere il loro romanzo, si fonde con le storie della cronaca, informando il lettore, oltre che intrattenendolo con la letteratura.

Auriemma e Troffa sono analitici nella loro narrazione, caratterizzata da un uso delle parole e della sintassi mai aulico e mai compiaciuto. Descrivono la realtà - anche quella meno quotidiana - attraverso l’espediente della prima persona - focalizzando così le caratteristiche morbose e inquietanti di una società - che i loro personaggi rappresentano - priva di spazio di sviluppo, attenta al denaro come strumento immediato di conquista inutile e potere; e priva di intelligenza. I loro personaggi , non possedendo una idea di progetto , di futuro possibile, restano impegnati a consumarsi all’interno di se stessi, in un percorso drogato non solo letteralmente, ma soprattutto dalla mancanza di un referente che relativizzi la loro esistenza malata. La società che rappresentano si è assolutizzata in un’idea, ma non è rappresentativa di un male grandioso: semplicemente vivacchia nel malessere e non sa liberarsi.

Pulixi, invece, usa la lingua in modo solo un poco differente, lasciando talvolta scorrere gli aggettivi all’interno delle frasi e illuminando perciò la scrittura con un accenno di positività. Anche se, neppure all’interno della sua storia, la speranza si concretizza. Perché le dimensioni della schiavitù, della prostituzione e del ricatto rappresentano gli elementi in cui sono immersi i suoi personaggi; sono lo schema ripetitivo delle loro esistenze tristi o addirittura disperate. Eppure, ciò che unisce le donne di queste tre opere tra loro e che infine unisce noi lettori ai personaggi e agli scrittori come creatori, è la memoria.

Queste storie ci sembrano cronaca e rendono labile il confine tra immaginazione e realtà: creando così un monito e un incentivo. La mancanza di riscatto e di speranza presente nelle storie vive anche tra noi che leggiamo: si va quindi stabilendo un meccanismo di solidarietà vivo che a sua volta innesca un meccanismo di rifiuto verso ogni forma di prevaricazione, di schiavitù; di morte. La letteratura diventa una delle forme di denuncia più chiare e comprensibili. Quella che può segnare una rivincita.