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La difficoltà di essere giovane, russa, immigrata

Autore: Marilia Piccone
Testata: Stradanove.it
Data: 3 marzo 2010

C’è qualcosa di così spontaneo, di così immediato nella voce narrante del romanzo “La vendetta di Sasha” di Alina Bronsky, che non possiamo fare a meno di pensare che la scrittrice stessa sia la protagonista del libro, o almeno che abbia vissuto alcune delle esperienze della diciassettenne Aleksandra detta Sasha, anche se non certamente quelle più drammatiche e traumatizzanti.
   Che ci vengono rivelate subito, all’inizio del libro, quando Sasha ci dice di avere due sogni: di ammazzare Vadim e di scrivere un libro su sua madre. Perché Vadim è l’ex marito della mamma, nonché il padre del fratellino e della sorellina di Sasha, e Vadim ha ucciso sia la mamma sia l’uomo con cui questa aveva ritrovato la felicità. Seguendo il racconto vedremo come Sasha non riuscirà a realizzare il primo sogno e, quanto al secondo…non si sa.
   Sasha Naimann è emigrata in Germania con la mamma e il suo nuovo marito (anche Alina Bronsky è nata in Russia ma vive da anni in Germania) e il mondo che descrive è per lo più circoscritto al ghetto russo in cui abita. Un ghetto fatto di casermoni di cemento, popolato da una prima generazione di immigrati che si esprimono in un tedesco stentato e fortemente accentato, fanno fatica a trovare lavoro, stanno incollati davanti ai televisori seguendo le scene senza capire le parole, bevendo birra (non hanno la fama di essere ubriaconi i russi, dopotutto?), e dai loro figli, tutti più o meno disadattati, certamente emarginati dai coetanei tedeschi.
   Tira un’aria molto triste e molto squallida nel ghetto russo di Sasha. Lei è diversa. Di certo molto dotata, sia per le lingue- e il suo ottimo tedesco ne è una prova- sia per la matematica. E’ uno di quei casi rari per cui il fatto di vivere in un luogo che non è lo stesso di quello in cui si è nati significa un arricchimento: Sasha appartiene a due mondi. E infatti, quando il giovane Felix, più tardi nella storia, vorrà farle credere di avere scritto una poesia per lei, Sasha riconosce immediatamente che l’ha presa pari pari, con qualche modifica, da Osip Mandel’stam.
   Sasha è brillante, è ironica, è pungente, è tenera, tenerissima con il fratellino Anton, bambino timido traumatizzato dalla scena a cui assistito e, prima, dal comportamento violento del padre, e con la bimba Alissa che non ha fatto quasi a tempo a conoscere la madre. Sasha è in un perenne atteggiamento di autodifesa; soprattutto Sasha diffida, anzi disprezza, anzi odia gli uomini. Come non capirla, con il patrigno che ha avuto? Eppure, quando incontra Volker Trebur, caporedattore del giornale su cui è stata pubblicata un’intervista con il pluriomicida Vadim che Sasha giudica oltraggiosa, la ragazza si innamora di lui, figura del padre che non ha mai avuto.
   Verrebbe da pensare che il coinvolgimento di Sasha con Volker e Felix, il figlio di questi, sia un di più non necessario. E invece serve per riequilibrare la narrazione principale: i problemi nascosti di padre e figlio fanno capire che la vita riserva dolori per tutti, l’umanità di Volker riabilita un poco il sesso maschile, l’innamoramento di Sasha è la controparte degli incontri di Maria (la grassa cugina che è arrivata dalla Siberia per badare agli orfani) con il vedovo Grigorij che tanto scatenano la furia di Sasha per farla poi pentire. Che male c’è se un po’ di sesso può allietare la solitudine di un uomo e di una donna?
   “La vendetta di Sasha” è il romanzo di una crescita che passa attraverso la più dura delle prove, un libro di una rabbia giovanile che ricorda- mutatis mutandis- i ‘giovani arrabbiati’ inglesi degli anni ’50, una storia sulla difficoltà di integrazione sempre, a qualunque età.