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Quando l'Italia inventò la "difesa della Razza"

Autore: Claudia Presicce
Testata: Quotidiano del Salento
Data: 15 novembre 2018

Proprio in questi giorni, nell’estate di San Martino di 80 anni fa, irrompeva nella vita degli italiani impegnati in normali esistenze, tra famiglia, scuola e lavoro, una delle peggiori catastrofi scritte nella sua storia. E furono gli italiani stessi a scriversi addosso questa realtà infame, congeniale al temperamento fascista che ormai imperava da quasi un quindicennio. Il regime, tra propaganda e violenze, aveva piegato le menti della maggioranza degli italiani verso idee belligeranti, con infausti venti di guerra, di conquista, di supremazia, di potenza e, non in ultimo, di superiorità razziale.

Era proprio l’11 novembre del 1938 il giorno in cui il Corriere della Sera annunciava che il Consiglio dei ministri aveva approvato le “leggi per la difesa della razza”. Migliaia di famiglie di ebrei sparse su e giù per la penisola si ritrovarono a essere considerate “inferiori”, reiette, sgradite e quindi fuori dai posti di lavoro pubblici, fuori dagli uffici e fuori dalla scuola. Tutti fuori, sia insegnanti che alunni.

Vennero prelevati dai genitori direttamente dalle aule tanti bambini e adolescenti increduli, mentre gli insegnanti tacevano: alcuni attoniti e impauriti, ma molti altri fieri di quell’epurazione di Stato annunciata a gran voce dai giornali. Era l’inizio di una storia che avrebbe assunto presto tinte sempre più fosche e che avrebbe trasformato intere famiglie di professionisti e artigiani, abituate a vivere tranquillamente in Italia, in un popolo di deportati o (nel migliore dei casi) in profughi disperati in cerca di asilo, in una condizione terribilmente analoga a quella di tanti odierni rifugiati. Anche gli ebrei di allora furono respinti, come pacchi al mittente, da tante frontiere europee, proprio come oggi si respingono altri “pellegrini” in cerca di salvezza.

L’occasione per parlarne è il libro “Questa sera è già domani” (edizioni e/o), Premio Strega Giovani 2018, di Lia Levi: la scrittrice sarà da oggi impegnata in un tour di presentazioni nel Salento.

La storia si muove dietro a quella di Alessandro, poco più di un bambino in quei giorni, che vede sconvolgersi la sua esistenza e quella della sua famiglia dietro a un processo storico imprevedibile per uno come lui, già alle prese con la sua storia personale. Il piccolo protagonista, mentre tutt’intorno incalza la Storia, affronta una sua realtà complicata perché da piccolo genio primo della classe diventa un sano studente, “semplicemente” intelligente ma non più prodigio. Questo “declassamento”, arrivato ai tempi di un ginnasio troppo precoce, turba gli equilibri familiari, rendendo la madre Emilia rancorosa verso un destino che le ha tolto in qualche modo l’osso di bocca. Quando il padre Marc, di origini inglesi, intuisce in tempo il pericolo che incombe sugli ebrei in Italia e vuole fuggire, lei si oppone per quella negatività recondita che spesso paralizza molte vite e diventa bloccante per intere famiglie. Marc in realtà è un po’ la summa di una certa Europa colta e degli ebrei che si erano spostati su e giù nel tempo in quel continente: belga di nascita, con la famiglia trapiantata in Olanda, con passaporto inglese ma di lingua francese, e ormai italiano. L’ambasciata britannica lo aveva invitato a lasciare il Belpaese nel momento in cui ancora l’Italia sembrava voler restare fuori dai conflitti, ma il “no” della moglie era stato netto. Purtroppo poi, dopo l’entrata in guerra dell’Italia, quel passaporto inglese non sarà più un lasciapassare per la salvezza, perché i due Paesi diventeranno nemici e per lui arriverà presto l’obbligo del confino. La famiglia sarà costretta a dividersi, a conoscere la fuga, il respingimento in Svizzera, la rabbia e il dolore. Alessandro resta a Genova per finire la scuola presso una zia e il libro racconta i suoi incontri, le vite minime, l’amicizia con Fausto, la solidarietà e la spietatezza di un’epoca storica che non è poi così lontana. C’è tutto il senso della commedia umana che il nostro Paese, tra città e piccoli centri, tra palazzi e cortili, cercava di tenere in piedi nonostante le difficoltà di quegli anni, nonostante la guerra, la violenza e una follia collettiva che sembrava non potesse fermarsi mai più.

La storia di “Questa sera è già domani” è romanzata, ma non tutta frutto di invenzione. È ispirata alle vicende di Luciano Tas, marito di Lia Levi, l’autrice del libro, giornalista e scrittrice italiana, ebrea scampata alle persecuzioni. Luciano, nato nel 1927 a Genova da un padre tagliatore di diamanti, aveva sedici anni all’epoca dell’inizio di questa storia e, come Alessandro, aveva doti che lo rendevano un ex bambino prodigio. La sua avventura umana, ripresa da una sorta di saggio buttato giù da Luciano, è stata ricostruita e in minima parte reinventata da Lia dopo la morte del marito, dando corpo al suo sogno di poterla raccontare. Raccontare per testimoniare.