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Ritorna l'Alligatore. Avventura sarda per il "privato"

Autore: Alberto Melis
Testata: L'Unione Sarda
Data: 12 febbraio 1997

Che ci fa Marco Buratti, alias "L'Alligatore", sul ponte di prua del traghetto che si avvicina a Cagliari, una città che sembra «una vecchia e grassa signora, mollemente adagiata su una collina, intenta a godersi il tiepido sole di una mattina di metà gennaio»?

L'Alligatore, il singolare detective privato "blues" orchestrato sulla carta da Massimo Carlotto -in una miscellanea di ritmi e stilemi che fanno il verso ora agli appena sincopati chiaroscuri dei soft hard-boley d'annata, ora alle acute asperità dei pulpe magazines ed ora alle malinconie melodiche di Munoz e Sampayo- si affaccia in Sardegna per infilarsi dritto dritto in un pasticciaccio. Ed è un tal accidenti di "brutto pasticciaccio", questo raccontato ne Il mistero di Mangiabarche (Edizioni E/O, pp. 237, lire 24.000), dal 15 febbraio nelle librerie, che sembra fatto apposta per solleticare tanto una appassionata full immersion nei suoi meccanismi letterari, quanto un doloroso déjà vu di ferite -reali, tangibili, non ancora cicatrizzate- che Cagliari si porta addosso da un recente passato. Perché il nuovo romanzo di Massimo Carlotto, che come il precedente (La verità dell'alligatore, è edito dalla E/O), già dai suoi primi passi ci porta con sé dentro una storia conosciuta e terribile, le cui devastazioni sono state per sempre iscritte nel catalogo kafkiano del capovolto, dell'assurdo e del grottesco. A chiamare in Sardegna l'Alligatore è un vecchio avvocato, che fa da tramite ai tre veri clienti. Tre penalisti scampati al carcere dopo ventidue mesi di detenzione e dopo un'accusa ingiusta. Quella di aver trafficato in eroina. Quella di aver assassinato un loro collega, Giampaolo Siddi, scomparso dieci anni prima, nell'aprile del 1981. Il primo si chiama Gabriele Vargiu, è robusto e fuma il sigaro; il secondo si chiama Vincenzo Pontes, e fuma una sigaretta dietro l'altra, il terzo, Ignazio Moi, ed è di una magrezza che puzza di malattia, di quelle che consumano: «io ho la leucemia... da indignazione».

È così che dall' avventura di carta, dal girotondo di personaggi veri e fittizi che si rincorrono lungo un' affabulazione che è frutto di fantasia ma che pure rimescola e gioca con estrema accuratezza le carte di una realtà che indubbiamente è stata, riemergono con vigore, ma sarebbe più esatto dire con freddo e determinato furore, i tratti dei tre principali protagonisti del «Caso Manuella». E soprattutto riemergono il viso e la voce di Aldo Marongiu, avvocato e galantuomo che ai guasti della giustizia, ai trafficanti e trafficoni di false verità e innominabili depistaggi, ha ceduto qualche anno fa salute ed esistenza. L'Alligatore viene assunto per sciogliere un quesito: dov'è finito l'avvocato Giampaolo Siddi? È morto, o è ancora vivo, l'uomo dai mille misteri, l'uomo dai "buoni" rapporti con i militari della base Nato di Decimomannu, l'uomo dissoltosi nel niente dopo aver organizzato con l'ex sergente Leon Benoit il traffico di una partita di whisky Chivas del valore di cento milioni? L'avventura letteraria dell'Alligatore -che chiamerà al suo fianco l'amico Rossini, un vecchio malavitoso cresciuto nelle nebbie del Nord Italia, insieme a un giovane gangster di Sant'Elia innamorato delle moto Ducati e di Marlon Brando- muove i suoi passi proprio lì dove le prime (vere e scottanti) indagini degli inquirenti si erano arrestate. Perché questo singolare detective in blues, le cui ferite dell'anima ne fanno un musicologo alcolista e un inguaribile crociato in cerca della Verità (non usa armi e suo malgrado ha ben poco della durezza adamantina dei Marlowe e dei Continental Op) sa come vanno le cose del mondo. E se è capace, per principio e vecchie scottature, di tenersi lontano da giudici, sbirri e tutto ciò che sa di istituzionalizzato, è altrettanto capace di addentrarsi nella "categoriale Città Avvelenata", per dirla con Roberto Barbolini, andando dritto alla meta. Difficile a questo punto, per chi è nato e vissuto a Cagliari - se non altro per l' incredulità e lo scettiscismo così fortemente incisi nel nostro Dna cittadino - riconoscere una città vissuta sottotraccia da malavitosi e corrotti, agenti segreti e aficionados delle bische clandestine, killer in skate-board e musici post-underground nascosti nelle pieghe della notte.

Eppure la pista seguita dal detective, quella dei depistaggi, delle vendette pubbliche e private covate nelle consorterie del potere, degli intrecci internazionali giocati anche su terra sarda, resta l'unica da seguire. L'unica che in questo caso specifico -pur nell'artificio della invenzione letteraria- appare se non la più plausibile almeno la più solleticante. Gli ingredienti giusti ci sono tutti: Carlotto porta il suo Alligatore a incrociare un traffico d'eroina, qualche pentito utilizzato dai servizi segreti, una segretaria traditrice e tradita, un manipolo di separatisti corsi, un codice cifrato che si muove lungo la storia di celluloide di un vecchio film e un codice d'onore riconosciuto e rispettato solo da vecchi malavitosi, avvocati galantuomini e uomini in blues.

Ciò che ne viene fuori è quindi una Cagliari bifronte. Quella visibile e quella invisibile: dove gli intrecci e gli interessi inconfessabili possono devastare intere esistenze e maciullare ogni senso di giustizia. Di fronte a questa doppia cifra del romanzo, l'attenzione del lettore che ha colto i riferimenti iniziali alla realtà del Caso Manuella, viene portata così a dissociarsi. A lasciarsi andare, per un verso, a una fiction che contrappone i ritmi hard di sparatorie sugli asfalti alle malinconiche note blues che attraversano l'anima dell'Alligatore, e a domandarsi, per un altro verso, quanto la durezza di questo romanzo sia compatibile con le inaccessibilità di un mistero giudiziario nella realtà destinato a restar tale per sempre.

Su una cosa non ci sono dubbi. Se l'invenzione affabulatoria di Carlotto ha tanto ritmo da tenere il lettore sulla corda sino all'ultima pagina, è pur sempre la cronistoria della realtà vera -vedasi il bel libro del giornalista Ottavio Olita Vite devastate: il caso Manuella- a instillare ancora disorientamento e indignazione. E il finale -perché nella finzione letteraria "i nostri" finalmente arrivano - appare allora come grande omaggio al bisogno di Verità di un uomo che qualche anno fa è scomparso senza poterla conoscere. Una Verità, presentata dall'Alligatore a Ignazio Moi-Aldo Marongiu prima che la leucemia "per indignazione" lo finisca, costruita su grandi depistaggi, ma anche su mezze figure squallide e insignificanti: "non valeva un minuto della galera che vi siete sciroppati". Il caso è chiuso. E l'avvocato galantuomo, potrà conoscere, almeno sulla carta, prima di morire in pace con se stesso, ciò che nella realtà gli è stato invece negato.