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Storia del cantoniere Gengoni Selvino: con pudore in un mondo di spudorati

Autore: Franco Bertini
Testata: Il Resto del Carlino
Data: 2 giugno 2013

Gengoni Selvino e suo padre, il fu Terenzio, detti prima l'uno e poi l'altro "Macadàm", nome distorto da Mac Adam che inventò un tipo un di pavimentazione stradale, sono entrambi cantonieri e narratori. Così Paolo Teobaldi è insegnante e narratore come «falegname e narratore» fu suo padre Washington al quale Paolo ha dedicato il suo ultimo libro "Macadàm" (edizioni e/o, 2013) appena arrivato nelle librerie. «Sette paia di scarpe ho consumato... », dice un verso di Carducci, esattamente come Teobaldi che ha lavorato su sette stesure prima di arrivare a questa andata in stampa. «Le prime cose — dice — le ho scritte nel 2007, appena terminato "Il mio manicomio". Selvino detto "Macadam" è uno che ha l'idea che il mondo cambia, non ci si ritrova più, ma nonostante tutto non rinuncia. Lui non ha studiato ma è colto grazie alla maestra Tozzi».

Prosciugato progressivamente attraverso sei precedenti stesure, ne esce un romanzo essenziale, linguisticamente consistente come raramente capita, partendo da una trasmutazione di Pesaro verso l'universalità, che racconta la storia di quella casa cantoniera «sul curvone», centro di un mondo e, dice Teobaldi, «di una comunità operosa, di un mondo solidale che attraverso gli anni declina e si incarognisce». Finché "Macadàm" arriva al punto di dichiarare ufficialmente che «non andava più bene niente». Una storia attraversata e percorsa da un dolore di fondo che sordamente mina il grande amore di Selvino e della sua adorata Isolina: il loro figlio Renzino nato morto che porta Selvino a parametrare sempre su di lui tutto quanto accade attraverso gli anni della sua vita e Isolina a odiare la casa cantoniera che era il centro del loro mondo e ad andarsene a far da mangiare per volontariato, lasciando spegnere il camino e il calore umano di quella casa.

Le pagine finali del libro, certo fra le più belle di Teobaldi, si aprono però alla speranza. Proprio quando tutto sembra andare a rotoli e Selvino si rammarica ancora di «non avere nessuno a cui insegnare tutto quello che aveva imparato nella vita» e che «morire in fondo era logico», ecco che per vie inaspettate e con modalità diverse, quel figlio perduto ritorna, la tragedia si placa, la vita si ricompone, la casa cantoniera torna ad essere il centro della vita di Selvino e soprattutto di una ritrovata Isolina che proprio per quel Renzino ritrovato torna a far da mangiare come solo lei sa fare nella cucina di casa. Non è un lieto fine. E' una speranza che si accende, è la caparbietà di "Macadàm" a non rinunciare mai nonostante che intorno nulla vada più bene. Non c'è un filo di retorica i queste ultime pagine, c'è, come in tutto il libro, solo un grande pudore in un mondo ormai di spudorati.