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Il mistero Elena Ferrante

Autore: Marta Perego
Testata: Chooze.it
Data: 12 gennaio 2015
URL:   http://chooze.it/blog/2015/01/il-mistero-elena-ferrante/

“Oh, you are from Italy… Elena Ferrante!” mi ha detto il commesso della deliziosa libreria tra Soho e Nolita. Sono stata a New York per le vacanze di Natale. Una città pazzesca, non c’ero mai stata. Sembra di stare sul set di un film ad ogni angolo della strada, in ogni bar dai banconi minimal-lucidi o intarsiati o ricoperti di bottiglie raffinatissime o dal gusto alla bistrot francese shabby- chic, dove ti servono brunch a base di uova e salsiccia e hamburger di carne sceltissima (perché il brunch di  Manhattan è il migliore del mondo, man), in ogni libreria (anche se quella di Hannah e le sue sorelle non l’ho trovata, ho letto da qualche parte che forse è stata chiusa) e anche quando lasci Manhattan e ti inoltri – come un vero avventuriero pronto a tutto, con il coltello nella tasca allenandoti a fare l’imitazione di Robert De Niro-, in quartieri come il Bronx o Harlem, ora intrisi (oddio.. il bronx tranquillo tranquillo non è) più della mitologia hollywoodiana del pericolo che del pericolo stesso. Ma di questo vi parlerò forse un’altra volta, come vi mostrerò le mie interessantissime e tantissime fotografie alle location dei film, soprattutto del pastrami di Katz delicatessen. Anzi, quella ve la posto subito che ne sono particolarmente orgogliosa e non ce la faccio a tenermela per me.

Il nocciolo di tutto è che questa mia vacanza newyorkese ha coinciso con la lettura dei primi due libri della tetralogia di cui tutti parlano: L’amica geniale di Elena Ferrante. La domanda è: ma come, li hai letti solo adesso? Sì, per una serie di ragioni. Un po’ perché, lo dico sinceramente, non mi affascinava particolarmente la trama, un po’ perché lavorando per un programma di libri e intervistando scrittori, ho dato la precedenza a quelli con un’identità e un numero di telefono, un po’ perché così.. quando di una cosa ne parlano tutti mi stufa.

Quello che voglio dirvi è che sì, è vero. A Manhattan sono pazzi di lei. I suoi libri sono dappertutto. Facili da individuare perché la copertina è uguale a quella italiana (la casa editrice statunitense è una specie di filiale di quella italiana, ovvero Europa Editions che pubblica la Ferrante, tradotta dalla bravissima Ann Goldstein, negli Stati uniti è la versione a stelle e strisce di e/o) e che i livelli di mistero sono doppi. Il primo: chi è Elena Ferrante, perché questo segreto con la casa editrice, perché la casa editrice opera dal 2005 sia in Italia che in America (sarà perché aveva previsto e organizzato questo successo incredibile di Elena Ferrante?), è una donna? È un uomo? E’ Domenico Starnone? E’ sua moglie? E’ Goffredo Fofi (???)? Il secondo: perché i suoi libri piacciono così tanto.

Non risponderò a nessuna di queste domande per il semplice fatto che non lo so. Se scrivete “mistero Elena Ferrante” su Google vi usciranno tanti di quegli articoli su di lei da riempirvi un pomeriggio. Un mistero che incuriosisce e stuzzica, che vi fa comprare i suoi libri. Ma poi, dopo che li avete letti, dopo che sarete entrati in quel vortice narrativo che vi farà viaggiare nella Napoli labirintica degli anni Sessanta (sono arrivata al secondo tomo che si ferma circa al 1968) e nella vita normalmente picaresca di Elena e Lila, non vi interesserà poi più di tanto. Perché credere che quegli spiragli di verità, quella forza imperfetta e calda che rende il ciclo de “L’amica geniale” diverso da qualsiasi cosa che abbiate letto, siano legati ad una forma di autobiografismo vi farà sentire più felici.

Non posso credere che sia un prodotto costruito a tavolino da esperti di marketing, come qualcuno nell’internet ha sostenuto. Anche se forse, se fossimo appassionati di dietrologie, le regioni ci sarebbero: 1.  la scrittura è densa, sì, ma all’apparenza semplice. Una specie di torta a strati, che si apre alla marmellata dopo tre strati di semplice pasta al cioccolato. Non ci sono pastiche linguistici. Quando i personaggi parlano in dialetto viene semplicemente asserito dall’autrice “disse in dialetto”, “usò il dialetto”. Molto più facile da tradurre in inglese, più lineare. Piace a tutti, napoletani e non.

2. la Napoli raccontata è una Napoli set cinematografico. Le viuzze, le case del rione (che non viene mai nominato col nome proprio ma  solo “il rione”), i personaggi che lo popolano (lo scarparo, il muratore, il camorrista, le fidanzate, le mogli, la maestra, Lila la “ragazza cattiva geniale”, Elena “la secchiona che si sente senza genio”) vengono delineati realisticamente – non diventano mai tipi caratterizzati, sempre personaggi dotati di una psicologia mutevole e complessa- ma non neo-realisticamente – più personaggi scritti che persone in presa diretta. Insomma non è un saggio sociale, né un documentario storico. Ma un romanzo. Un romanzo quasi vittoriano nella sua impostazioni, con una voce narrante che non si nasconde mai. Quello che stai leggendo, lettore, è un libro, una storia, una costruzione di finzione. Che può avere elementi autobiografici che, però, se non nella sostanza, sono stati modificati dalla memoria (che poi cari, la memoria è il libro personale di ognuno di noi, no?)

3. La storia è una storia che agli americani (e all’estero in generale) piace: quell’Italia del Sud degli anni ’50 con la sua genuinità, la sua povertà e la sua ignoranza. La criminalità che si affaccia, che compra i negozi, che chiede il pizzo e che picchia se qualcuno sgarra. Due ragazze, ognuna che cerca di affermare la propria autonomia lottando contro tutti. Una ribelle, l’altra studiosa. Un’american dream in salsa partenopea.

Qui mi fermo che a ragionar di dietrologie si diventa matti e si inizia a pensare che la strage di Charlie Hebdo l’ha organizzata Salvini aiutato da Ratzinger.

Io non so cosa ci sia dietro al mistero “Elena Ferrante”. So che quei libri contengono qualcosa che crea dipendenza, che dona al lettore un’esperienza completa e avvolgente. Che sia quella “calda imperfezione” di cui vi parlavo prima (ovvero: uno stile apparentemente semplice ma che si apre a punte riflessive ed emozionali che possono sembrare ad una prima occhiata banali, ma che in realtà sono il “genio”), che sia la storia di formazione in cui ognuno in fondo si può immedesimare (tutti siamo stati ribelli durante l’adolescenza, tutti ci sentiamo deboli, insicuri, incapaci e vediamo negli altri modelli da emulare, tutti, pure tu che fai no con la testa, sii sincero con te stesso, su dai, non lo dico a nessuno), che sia l’assenza. Perché in un mondo dove l’autobiografismo è una bandiera, dove tutti pensano che la proprio vita sia talmente avvincente e interessante da non farsi passare mai dall’anticamera del cervello il sentore che forse quella foto di profilo davanti al tramonto che è venuta tanto bene con l’iphone della fidanzata si potrebbe anche non pubblicare. In un mondo dove l’opinionismo è diventato un dovere, pensare che ci sia una scrittrice che lascia alla carta il pensiero, le sue storie e forse anche la sua vita senza mai mostrarsi, è un antidoto intimo e potente.

Concluderei questo sconclusionato articolo con uno slogan dal dubbio gusto “cerca un momento per te, leggi Elena Ferrante”. E inventati tu, su di lei, una storia. Non so se lei potrebbe esserne felice, ma tu (anzi io, parlo per me), lo sono un po’ di più.