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Svetlana Aleksievic quando il giornalismo si presta alla letteratura

Autore: Ornella Nalon
Testata: Gli Scrittori della Porta Accanto
Data: 9 ottobre 2015
URL: http://gliscrittoridellaportaaccanto.blogspot.it/2015/10/leditoriale-di-ornella-nalon-svetlana.html

eri, l'Accademia Reale Svedese delle Scienze ha annunciato il vincitore della 134^ edizione del Premio Nobel o, per meglio dire, la vincitrice. Si tratta della giornalista e scrittrice bielorussa Svetlana Aleksievic. { Per la sua polifonica scrittura nel raccontare un monumento alla sofferenza e al coraggio dei nostri tempi. }

Svetlana è nata in Ucraina il 31/05/1948. Nel suo paese è nota soprattutto per la sua attività di cronista che l’ha vista raccontare i principali avvenimenti dell’Unione Sovietica dei nostri tempi: lo scioglimento dell’URSS, la guerra in Afghanistan, il disastro nucleare di Cernobyl. Per ognuno di questi clamorosi eventi, ha scritto libri che hanno ottenuto un vasto consenso di critica e di pubblico, con il suo inconfondibile stile, ciè attraverso la testimonianza di persone che li hanno vissuti o che comunque abbiano qualcosa da raccontare. Tradotti in molte lingue e diffusi in vari paesi, le hanno garantito una fama internazionale e numerosi riconoscimenti. Perseguitata dal regime del Presidente bielorusso Aleksandr Lukasenko, insediatosi nel 1994, poiché ritenuta un agente della CIA, fu costretta a lasciare il suo paese. Attualmente vive a Parigi, dove si è trasferita, in esilio volontario, nel 2000.

Preghiera per Černobyl'. Questo libro, scritto in seguito al disastro di Fukushima, non parla di Černobyl', ma del mondo di Černobyl'. Proprio di ciò che conosciamo poco o per nulla. La ricostruzione non degli avvenimenti, ma dei sentimenti. E così Svetlana Aleksievič ha dato voce, con decine e decine di interviste, a quel popolo di Černobyl' composto di persone dalle professioni, destini, generazioni e temperamenti diversi, donne, uomini, bambini e soldati, contadini e intellettuali, credenti e atei. La paura atomica ha reso il mondo ancora più piccolo. Il vecchio lessico della politica – “noi-loro”, “lontano-vicino” – non ha più alcun senso. Le nubi radioattive di Černobyl’ – non possiamo non averci pensato – erano sopra l’Africa e la Cina a quattro giorni dal disastro. In Europa si fa già razzia di dosimetri e di pillole di calcio iodato, che blocca il diffondersi delle radiazioni nell’organismo. Siamo tutti incollati ai televisori. E i telegiornali sembrano bollettini di guerra. La domanda è inevitabile: è una tragedia giapponese o dell’intera umanità? Il disastro atomico ha o non ha incrinato la nostra idea di civiltà? E i nostri valori? La paura è un’ottima insegnante. La prima lezione è stata Černobyl’. E di Černobyl’ parlava già la Bibbia…

[...] Così come a suo tempo con Černobyl’, il mondo intero oggi sa dov’è Fukushima. Che ha affiancato Hiroshima e Nagasaki. L’atomica in tempo di guerra ha dato il braccio all’atomica in tempo di pace: entrambe uccidono. Il terzo paese economicamente più avanzato del mondo non può nulla contro l’energia atomica pacifica. Contro la natura che alza la testa. In poche ore – ore? minuti! – lo tsunami ha risucchiato intere città nell’oceano. E al progresso sono seguite le macerie del progresso. Il cimitero dei miraggi del progresso.

Ragazzi di Zinco. Una intera generazione di giovani con le loro madri, sorelle e spose, insieme a medici e insegnanti, impiegati, infermieri, ufficiali e comandanti: è il lungo corteo di una umanità martoriata e piagata che racconta con semplicità le miserie e gli orrori della guerra in Afghtanista ma anche di tutte le guerre.

Incantati dalla morte. Una raccolta di testimonianze di vite spezzate e ricostruite, spiegate, svelate ai lettori di questo singolare, istruttivo e struggente libro innervato sul tema del fallimento dell’impero sovietico. Nessun saggio politico, sociologico o economico è in grado di spiegare nelle sue complesse concatenazioni le ragioni della caduta e del disfacimento di un’ideologia fattasi sistema totalitario.

Tempo di seconda mano. Racconta a donne e uomini, protagonisti, vittime e carnefici, un dramma corale, quello delle "piccole persone" coinvolte dalla Grande Utopia comunista, che ha squassato la storia dell'URSS-Russia per settant'anni e fino a oggi. Questo libro, sullo sfondo del grande dramma collettivo del crollo dell’Unione Sovietica e della tormentosa e problematica nascita di una “nuova Russia”, costituisce il coronamento ideale di un lavoro di trent’anni: qui sono decine i protagonisti-narratori che raccontano cos’è stata l’epocale svolta tuttora in atto.

"Al nostro primo incontro è venuta solo la madre. “Ksjuša non è voluta venire. Ha cercato di dissuadere anche me. ‘Mamma, a chi può servire? Loro hanno bisogno solo delle nostre emozioni, delle nostre parole, ma non possiamo essergli utili perché non hanno mai vissuto ciò che abbiamo vissuto noi.’” Era molto inquieta: a momenti si alzava con l’intenzione di andarsene: “Cerco di non pensarci. Mi fa male ripetere quello che è accaduto”, oppure si metteva a raccontare e non la si poteva più fermare, ma per lo più taceva. Come potevo consolarla? Da un lato la pregavo: “Non si agiti, stia calma.” Ma dall’altro volevo che ricordasse quel giorno spaventoso: il 6 febbraio 2004, l’attentato terroristico sulla linea del metrò Zamoskvoreckaja di Mosca, tra le stazioni Avtozavodskaja e Paveleckaja. In seguito all’esplosione erano morte 39 persone e 122 erano finite all’ospedale.

Non faccio che girare intorno al dolore. Non riesco ad allontanarmene. Nel dolore c’è tutto: tenebra, solennità, qualche volta credo che il dolore crei come un ponte tra le persone, un legame segreto; qualche altra sono in preda alla disperazione, penso invece che si crei un abisso."

I NUMERI DEL PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA

Il primo vincitore, nel 1901, è stato Sully Prudhomme, poeta di nazionalità francese, con la seguente motivazione: “in riconoscimento della sua composizione poetica, che dà prova di un alto idealismo, perfezione artistica ed una rara combinazione di qualità tra cuore ed intelletto”. Il vincitore dell'edizione 2014, è stato Patrick Modiano, scrittore e sceneggiatore francese. La motivazione: “per l'arte della memoria con la quale ha evocato i destini umani più inafferrabili e scoperto il mondo della vita dell'occupazione” Le nazionalità più premiate sono le seguenti: Francia con 15 Nobel, Inghilterra e Stati Uniti a pari merito con 12, Germania con 6, Svezia 8, Italia e Spagna con 6, Danimarca, Polonia e Russia 5, Irlanda 4, Norvegia 3, Cile, Cina, Giappone, Grecia, India, Sudafrica, Svizzera e Canada con 2. Da quest’anno, anche l’Ucraina si è aggiudicata 2 premi. Il genere maschile si è aggiudicato 99 premi, il femminile 14. Gli Italiani che hanno vinto il premio sono i seguenti: 1906 Giosuè Carducci, scrittore e poeta lucchese, 1926 Grazia Deledda, nuorese, 1934 Luigi Pirandello, drammaturgo agrigentino, 1959 Salvatore Quasimodo, poeta ragusano, 1975 Eugenio Montale, poeta, giornalista, traduttore, critico musicale e scrittore genovese, 1997 Dario Fo, con la motivazione: “seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi”. Due sono stati gli autori a rifiutare il premio: Boris Pasternak, il quale ne fu costretto per non incorrere in possibili ritorsioni da parte delle autorità sovietiche e Jean Paul Sartre, con la semplice motivazione, dell'autore, di voler rifuggire da ogni onore ufficiale. Molto discutere ha fatto la premiazione di Gunter Grass, nel 1999, poiché si seppe solo in seguito che aveva militato nelle SS.

Naturalmente, anche questo, come ogni premio, non è stato dispensato da critiche e dissensi. Si sono mosse delle accuse verso l'Accademia di Svezia per la sua ipotetica inclinazione a prendere in considerazione ragioni politiche piuttosto che di merito letterario e per il suo presunto eurocentrismo. Si è spesso gridato allo scandalo per alcune scelte e per alcuni esclusi. Già il primo vincitore, Sully Prudhomme, ha dato corso a una polemica. Molti artisti e scrittori protestarono considerandolo un poeta mediocre e avrebbero voluto sul podio Lev Tolstoj, autore di “Guerra e pace” e di “Anna Karenina. Altri si sono chiesti, ad esempio, per quale motivo, nel 1959, la scelta sia caduta su Quasimodo e non su Ungaretti. E ancora, come possa essere possibile che certi nomi come Lev Tolstoj, per l'appunto, Virginia Woolf, Bertold Brecht, Emile Zola, Graham Green, solo per citarne alcuni di una lunga lista, non abbiano mai avuto il sommo riconoscimento.

Staremo a vedere se anche questa edizione avrà i suoi detrattori oppure se la scelta di Svetlana Aleksievic riuscirà a mettere tutti d'accordo.