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Quant'è profonda la fascinozione distruttiva fra l'occidente e l'oriente

Autore: Antonio Gurrado
Testata: Il Foglio
Data: 30 novembre 2016

Nessuno prende la decisione di suicidarsi; il suicido è presente in certi uomini, è nella loro natura. Questa frase di Sadegh Hedavat, scrittore iraniano di inizio Novecento, è fra le prime delle innumerevoli citazioni contenute in "Bussola", gran romanzo di Mathias Enard vincitore del premio Goncourt e importato in Italia dalle Edizioni e/o. Poiché questo monologo notturno di un musicologo insonne racconta i rapporti di fascinazione distruttiva fra la nostra civiltà e l'oriente, si può ampliare il raggio della considerazione di Hedayat l'occidente ha preso la decisione di suicidarsi o si è limitato a riscontrarla nella propria natura? La distruzione è da secoli la cifra dei nostri rapporti con l'oriente. Può essere autolesionismo - ben rappresentato dagli sconquassi intestinali dei viaggiatori che tuttavia non cessano di proseguire verso est - così come assalto e deturpamento: "I crociati, i primi orientalisti" sono descritti da Enard mentre "tornavano nei loro tristi villaggi occidentali carichi di oro, di bacilli e di strazio, consapevoli di avere distrutto in nome di Cristo le più grandi meraviglie che avessero mai visto". Possiamo dedurne due conseguenze. L'oriente è un germe che l'occidente cova dentro di sé da secoli, almeno dal tempo in cui al centro della nostra cultura c'è stata l'Austria ovvero Osterreich, "l'Impero dell'est"; il Danubio, che collega terre cattoliche ortodosse e islamiche con alterni sprazzi di ebraismo, può essere visto come lo squarcio che lede l'integrità dell'occidente rendendo la sua identità permeabile al levante. Una delle più belle melodie orientali mai scritte è il "Rondò alla turca" di Mozart, cent'anni esatti dopo l'assedio ottomano a Vienna. Mezzo secolo dopo, Balzac fu il primo francese a introdurre un testo arabo in un romanzo; caratteri incomprensibili incisi su un talismano che il protagonista di "Peau de chagrin" guarda con inquietudine. A metà ottocento, di ritorno dall'oriente, Félicien David tentò di riprodurre su spartito il canto del muezzin e, nel 1918, Karol Szymanowski volle intercalare nei "Canti del muezzin innamorato" degli strascicati "Allah akbar!". Intanto, nel campo di Ossen, in Brandeburgo, era stato stampato in quindicimila copie France un giornale per prigionieri di guerra musulmani dalla testata ben trovata: "El Dschihad". La seconda conseguenza è che, per contraccambiare, abbiamo tentato di appropriarci dell'oriente sottoponendolo a una decostruzione. Enard spiega che esiste un oriente di secondo grado, "quello di Goethe e di Hugo, i quali non conoscono né le lingue orientali né i paesi in cui sono parlate, ma si basano su opere di orientalisti e viaggiatori"; e perfino un Terzo oriente, quello di Berlioz che resta affascinato dai testi esotici di Victor Hugo. Il Terzo... oriente non ha rapporto con l'oriente reale e nemmeno con ciò che si è appreso di esso, ma è solo la proiezione in costume delle mollezze e delle violenze che non abbiamo il coraggio di perpetrare nella nostra civiltà. Un caso a parte fu Franz Liszt, talmente ossessionato dall'oriente che, quando decise di andare a suonare dinanzi al sultano, Heine gli domandò: "Come fa.. rete a parlare dell'oriente, dopo esserci stato?". Questa decostruzione è diventata vicendevole. Enard racconta di jihadisti che oggi bruciano strumenti musicali, in quanto segno dell'occidente diabolico, ma ignorano che sono "gli stessi tamburi e le stesse trombe che secoli prima i franchi avevano copiato dalla musica militare ottomana, e che gli europei descrivevano con terrore poiché segnalavano l'approssimarsi degli invincibili giannizzeri turchi". In Arabia Saudita cartoni animati didattici istruiscono i bimbi a essere buoni musulmani copiando i drappeggi immaginari dei cartoni orientaleggianti della Disney. "Gli orientali non hanno nessun senso dell'oriente; ce l'abbiamo solo noi", diceva Lucie Delarue-Mardrus; in effetti il rapporto occidente-oriente è ormai un doppio suicidio in maschera. Enard rinfaccia che "rispettiamo troppo al Qaida", visto che a quanto pare si evita di eseguire il libretto da additare alle "Rovine di Atene" di Beethoven perché menziona Maometto. In compenso a Salisburgo Mozart viene eseguito in marsina e parrucca settecentesche: gli occidentali che un tempo si travestivano per viaggiare comodi e inosservati nelle lontane terre orientali oggi devono camuffarsi per sentirsi a casa propria.