Login
Facebook
Twitter
Instagram
Newsletter

Intervista a Sandro Ferri

Chi fa i libri che leggiamo?

da The Catcher

SANDRO FERRI — direttore editoriale di e/o

e/o nasce a Roma nel lontano ’79 da un’idea di Sandro Ferri e Sandra Ozzola per portare in Italia, nel dibattito culturale, autori che vivono nei paesi del socialismo reale: inizio bohémien e in perfetto stile Anni Settanta. Cosa permane oggi, in un mondo completamente diverso, di quello spirito?

Rimane proprio lo spirito bohémien: una tendenza che nasce dalla passione per i libri più che dal calcolo economico e di impresa e poi c’è la curiosità di fondo verso altre realtà, altri paesi e altre letterature. All’inizio ci siamo occupati anche di saggistica, poi abbiamo virato sulla letteratura, perché crediamo che la narrativa costituisca il più importante canale di comunicazione fra le persone, da un punto di vista psicologico, ma anche personale, politico e sociale. È lo strumento più raffinato, più elastico, più utile per conoscere il mondo, senza contare che la conoscenza di altri mondi è parte essenziale del nostro dna. A distanza di quarant’anni, questo continua a essere il nostro valore principale: vogliamo creare ponti, contatti, oggi più che mai necessari visti i cambiamenti in atto. All’epoca avevamo il muro di Berlino, la ripartizione fra est e ovest, e la nostra intenzione era quella di far conoscere ai lettori le esperienze degli autori che vivevano in quelle aree geografiche. Oggi ci sono cento muri e continuiamo a proporre nuovi filoni, il noir mediterraneo, per esempio — che è un modo di approcciare la realtà tipico della nostra percezione, mediante l’esplorazione delle parti più oscure, della violenza, della criminalità, senza tralasciare il dato introspettivo. Pensando proprio a questi periodi storici, ci sono dei libri e/o che in modi diversi hanno segnato lo spirito di un tempo?

Per quanto riguarda l’est Europa, sicuramente Cassandra di Christa Wolf, che è stato un libro molto importante perché le ha permesso di imporre davvero il suo genio letterario. Wolf è riuscita a raccontare storie e tensioni che erano valide per l’est come per l’ovest attraverso la figura mitica di Cassandra che alludeva alla condizione femminile e al rapporto con la guerra, alla patria e al tradimento. Poi c’è stato Bohumil Hrabal con la sua “ironia praghese”, uno sguardo particolare sulla Storia da parte dell’uomo comune, che di fronte ai grandi meccanismi del proprio tempo matura un distacco tale da consentirgli di valutare con cinismo il quadro generale.

In casa editrice non abbiamo deciso di pubblicare questi libri con un intento pedagogico, quanto per catturare i lettori con delle voci uniche, al netto dei contenuti. Sul versante del noir mediterraneo, penso a Jean Claude Izzo, che ci ha fatto conoscere Marsiglia e il concetto di viaggio, di sradicamento, attraverso l’immagine del “porto”; e Massimo Carlotto, che continuiamo a pubblicare con successo. Oppure Yasmina Khadra, che adesso pubblica Sellerio e che noi abbiamo pubblicato per anni, coi suoi noir ambientati durante la guerra civile algerina. C’è poi il filone della letteratura nordamericana, con Alice Munro e Joyce Carol Oates, la Alice Sebold di Amabili resti, e più recentemente Joan Didion (Prendila così e Democracy). Ci sono poi le letterature africane o mediorientali, su cui stiamo cercando di espanderci: abbiamo pubblicato qualche tempo fa L’italiano di Shukri al-Mabkhout, che lo scorso anno ha vinto il Booker Prize for Arabic Fiction. Questa ricerca ci ha condotto in tanti posti diversi, ma poi siamo stati noi a lanciare negli Stati Uniti il marchio Europa Editions, in un paese dove i libri tradotti costituiscono solo il 3% di tutti quelli pubblicati. Siamo andati lì con l’intento di tradurre molto, non solo autori italiani, ma anche provenienti dal resto del mondo, iniziativa che ha riscosso un buon successo.

A proposito di Europa Editions: quali sono, oltre a Elena Ferrante, gli autori che hanno avuto più successo in America?

Oltre alla serie de L’amica geniale, che da sola ha venduto circa 1.200.000 copie, c’è stato l’exploit di Muriel Barbery con L’eleganza del riccio, un successo da due milioni di copie: sono numeri enormi, che hanno consentito alle autrici di rimanere per settimane nelle classifiche del «New York Times». È andata bene anche a Jane Gardam, che diversamente dall’Italia ha incontrato i favori del pubblico, oltre ad alcuni classici della nostra letteratura come Baricco, Benni, De Cataldo, Parrella, Piperno, Starnone e Dario Fo, quest’ultimo con La figlia del papa. Pubblichiamo anche il crime, con Maurizio De Giovanni. E poi c’è il filone tedesco, quello sudamericano, insomma: autori da tutto il mondo.

Il divano di e/o

È vero che il significato di e/o è est-ovest? Se consideriamo che la casa editrice è partita dal mondo comunista per arrivare a New York, si tratterebbe quasi di una profezia… Quando abbiamo iniziato non sapevamo che saremmo andati a New York per aprire una casa editrice, ma fra le ragioni che ci animavano c’era senz’altro la volontà di pubblicare letteratura per far comunicare fra loro persone con esperienze di vita e lingue molto diverse, con tutti i rischi determinati dalle distanze e dalle guerre. e/o vuol dire questo, ma vuol dire anche e/oppure, che è un po’ la stessa cosa anche se non in senso strettamente geografico: vicinanza e opposizione.

Una domanda personale. Ti va di raccontarci un aneddoto sui primi anni di attività? Legato alla scoperta di un autore, a una trattativa…

Ce ne sarebbero tanti, ma ce n’è uno in particolare, che raccontiamo spesso. All’inizio, la sede della casa editrice era nel nostro appartamento — allora abitavamo alla periferia di Roma — e avevamo destinato una stanza allo scopo, peraltro la nostra stanza da letto, con un tavolo al quale sedevamo io, Sandra e un collaboratore che arrivava al mattino e ci svegliava. Un giorno, era molto presto, suonò il campanello: andammo ad aprire e ci trovammo davanti un agente che arrivava dalla Francia, senza appuntamento. Abitando in periferia, non ci aspettavamo che sarebbe successa una cosa del genere. Non facemmo neppure in tempo a rassettare le coperte, che l’agente esclamò: “Quindi questa non è una casa editrice, ma una stanza editrice”.

Christa Wolf (via)

Poi certo ricordo i primi incontri con alcuni autori, soprattutto quelli dall’est Europa, che provenivano da un mondo molto diverso dal nostro: Christa Wolf con suo marito, a Berlino Est, che ci riaccompagnarono alla metro coi mitra puntati sulle loro teste. O la prima volta che abbiamo incontrato Hrabal, in una birreria di Praga: era con degli amici che avevano portato dei cartocci con del cibo da casa. Una domanda su Elena Ferrante è obbligatoria (ma non vogliamo sapere chi sia!). Quando nel ’92 avete pubblicato L’amore molesto, cosa vi colpì della sua scrittura?

Il libro ci è arrivato tramite un’amica, senza nessuna presentazione. Ci ha colpito la straordinaria maturità del romanzo: si trattava di un’autrice che scriveva da decenni e che non aveva mai pubblicato, pur avendo una voce molto potente. La letteratura italiana, in quegli anni lì, era un po’ moscia, non osava e non scavava, era piuttosto celebrativa e superficiale: e davanti a un’autrice che, invece, andava dentro i rapporti fra madre e figlia in modo così carnale, tanto da impressionare addirittura alcuni critici, restammo affascinati. Il romanzo ci piacque moltissimo, perché riusciva a raccontare cose difficili e segrete.

e/o al Salone del Libro perché?

Ci siamo schierati da subito con Torino per un motivo. Al di là del dato affettivo e del fatto che dal nostro punto di vista — e da quello di tanti altri espositori — il Salone era sempre andato bene (ancora oggi non capisco perché avremmo dovuto cambiare), va detto che questa manifestazione mette gli editori in una posizione centrale, molto più che in libreria. Non ci sono i romanzi in ordine alfabetico, noi editori siamo presenti con tutto il catalogo e i lettori possono conoscere da vicino il nostro lavoro. A Torino si può capire veramente cosa fa un editore, perché nella maggior parte degli stand ci sono le persone che lavorano in casa editrice, i redattori, gli editor, i commerciali, i grafici. Questi incontri danno il polso della situazione, perché ci si parla e si fa conoscenza: questa cosa qui Torino la faceva bene e continuerà a farla bene. La fiera di Rho, nata dalla volontà di due grandi gruppi editoriali, benché si dicesse determinata a mettere la manifestazione in mano agli editori, non agirà in questo modo. Nella quotidianità del Salone di Torino gli editori sono più presenti, e questa per me è la cosa più importante, perché il libro sopravvivrà solo se si instaura un rapporto solido fra il lettore e la casa editrice, solo se il lettore toccherà con mano la passione che c’è dietro.