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Sandro Ferri parla delle Edizioni E/O

7 giugno

«L'avventura delle Edizioni e/o, iniziata venti anni fa, ha molte delle caratteristiche di un gioco; e ció forse non è casuale se si guarda al suo oggetto: l'Est europeo, teatro da secoli dei giochi tragici e grotteschi della Storia. Sarebbe falso, infatti, dire che questa casa editrice specializzata nei paesi dell'Est è nata dopo un'accurata indagine di mercato per verificare se c'era da colmare un vuoto editoriale (che pure c'era, ed enorme, per via del provincialismo, delle paure e dei tabù della nostra cultura). Sarebbe falso anche dire che già all'inizio sapevamo "tutto" dell'Est (per quanto mia moglie Sandra fosse laureata in letteratura russa e Alfredo Lavarini, che venne piú tardi a lavorare con noi, fosse laureato in letteratura ungherese).

No, non c'è stata questa lucida predeterminazione quando undici anni fa mettemmo in cantiere i primi libri: un saggio profetico sull'esplosione dell'impero multinazionale sovietico; una monografia su Wajda, il regista polacco che proprio in quegli anni ci regalava un memorabile Uomo di marmo, film che avrebbe dovuto aprire gli occhi di molti sul fallimento del socialismo reale; un romanzo politico del 1937 di Victor Serge che "da sinistra" denunciava Gulag e i processi staliniani molto tempo prima dei "nuovi" filosofi nostrani; i racconti di viaggio in Africa e in Oriente di Jan Potocki (ristampati nella collana dei Tascabili), a testimonianza che dell'Est non ci interessava solo il presente o l'esperienza politica, ma anche il ricco passato e ció che politica non è, ovvero tutto, la vita.

La nostra era una scommessa allegra, ingenua forse, ma anche molto seria, che ci avrebbe portato soddisfazioni, gioie per scoperte e incontri, ma pure fatica, bocconi amari, ostilitá. Una scommessa basata su una intuizione: all'Est, oltre le frontiere; ben controllate, dietro i vuoti discorsi della propaganda comunista, dietro quelli meno colpevoli ma altrettanto fuorvianti degli ideologi dell'anticomunismo che diagnosticavano la desertificazione culturale e umana dell'Europa orientale, dietro a tutto questo c'erano donne e uomini che continuavano a vivere, a leggere, a scrivere, a fare e vedere film, a discutere, a protestare, anche ad amare e divertirsi.

Erano i nostri viaggi e soggiorni a Est ad alimentare questa intuizione e a fornire continue verifiche, prima ancora delle letture e prima ancora dei consigli, delle lunghe discussioni con i nostri consulenti (pochi gli accademici e gli specialisti aperti e disponibili, ma quei pochi fondamentali per il nostro lavoro). Viaggi e soggiorni, incontri, amicizie, un legame piccolo ma concreto che si creava tra noi (Ovest) e loro (Est), e faceva crescere in noi un senso di disponibilità a favorire il dialogo, a far conoscere l'Est, a superare l'indifferenza del pubblico e della stampa italiani.

Viaggi e incontri decisivi, come, ad esempio, quando scrivemmo una lettera a Milan Kundera (allora, nel 1981, ancora poco famoso), e lui rispose semplicemente che ci aspettava a Parigi e che avrebbe volentieri discusso del progetto di una collana praghese. E ci furono lunghi pomeriggi di discussioni e di scoperte di tesori dimenticati delle culture ceca e tedesca ed ebraica di Praga, e di cose nuove che comunque venivano fuori anche nella Praga normalizzata, come, ad esempio, quello straordinario romanzo assurdo e comico che è Il soffitto di Reznícek (Pavel Reznícek: un altro notevole personaggio che incontrammo più tardi a Praga, muratore surrealista, con il quale iniziammo un incontro molto cerimonioso, terminato ore dopo con un abbraccio da ubriachi all'uscita da una birreria).

A Varsavia, un anno dopo il putsch militare del generale Jaruzelski, in una Varsavia tesa e battagliera nonostante (o per via di) la repressione, c'era un incredibile vecchietto ebreo, uscito da un romanzo di Joseph Roth, che ne aveva viste di tutti i colori nella sua lunga vita (era stato persino cacciato dall'Italia negli anni Cinquanta come spia comunista!), e ora simpatizzava per i coraggiosi giovani di Solidarnosc (quelli del Kor, la sinistra) e indicava un ritratto di Francesco Giuseppe sul suo televisore e diceva:"È stato l'ultimo uomo buono". Era Julian Stryjkowski, l'autore di Austeria, un romanzo che miracolosamente ci trasporta nel mondo scomparso degli ebrei galiziani della Finis Austriae. A Varsavia non c'era più, allora, Kazimierz Brandys. Era partito un anno prima per un viaggio in America e nel frattempo c'era stata la "soluzione" militare, e lui e la moglie, entrambi anziani, si erano ritrovati a migliaia di chilometri da casa senza niente, né soldi, né oggetti cari, né futuro (lo racconta Brandys stesso anche nei suoi Mesi: di notte restava sveglio per ore nell'appartamento in cui era ospite a New York, e poi svegliava la moglie chiedendole se era tutto vero, se erano vivi, o se erano morti inghiottiti con l'aereo precipitato nell'Atlantico).

Brandys lo vedemmo quindi a Parigi, dove nel frattempo si era trasferito. La prima volta mi dette appuntamento in un caffè; che si chiama Le Recrutement e mi reclutò nel piccolo esercito dei suoi ammiratori. Da allora lo abbiamo ascoltato (prima ancora che letto) per decine di ore rievocare il mondo (reale o immaginario?) della Polonia degli anni Trenta e Quaranta, i ricordi (la zia Ewa che giurò a un ufficiale tedesco di non essere ebrea ma italiana e che gli avrebbe portato un documento per comprovarlo e poi naturalmente non tornò, ma quello mesi dopo la incontrò per caso in una strada e fu la fine per lei; o quell'altra zia che si prese una pallottola nella spina dorsale da un delatore e oggi vive a Parigi semiparalizzata), i giochi esaltanti e tragici della Resistenza (chi ha letto Rondò, anche i più giovani, non possono non provare nostalgia per quell'epoca e per quei luoghi forse mai visti), e poi lo stalinismo (un viaggio a Mosca, i primi dubbi: la sera al Bolsoj nel palco d'onore vide Stalin e vicino a lui un altro dirigente, e il giorno dopo in albergo sulla Pravda, l'opposizione...).

A Berlino Est andammo che già avevamo letto Cassandra. Molte donne potranno immaginare l'emozione di mia moglie alla vigilia dell'incontro con Christa Wolf. Raramente ci toccò un'accoglienza più calorosa, meno formale, di quella che ci riservarono Christa e Gerhard Wolf. Ci portarono anche per un giro turistico per le strade di Berlino Est che, ossessivamente, sembravano tutte finire sul Muro. L'ironia, le battute non nascondevano l'angoscia per quel simbolo delle tensioni mondiali e del fallimento del socialismo, e i Wolf nemmeno provavano a nasconderlo.

Mi vengono in mente quel triste giro per Berlino e le parole di Christa su quanto andava fatto contro questa vergognosa situazione, in questi giorni in cui alcuni giornali occidentali l'accusano di opportunismo nei confronti del regime di Honecker. Ma come possono questi irresponsabili tacciare di opportunismo una persona che con i suoi libri e i suoi atti (basta ricordare la difesa di Biermann che le costò la radiazione dall'Unione degli Scrittori nel 1976) ha incoraggiato sempre chi sperava in un socialismo riformato democraticamente? Una persona che poteva, come molti dei suoi connazionali, adeguarsi silenziosamente all'unificazione di Kohl (come succede sempre quando cadono le dittature e trionfano i trasformismi) e che invece ha deciso di fare la rompiscatole, la Cassandra, come aveva fatto prima nel regime precedente, guadagnandosi per questo non i privilegi (che ha ricevuto sempre e solo per il suo straordinario rapporto con il pubblico), ma gli insulti e l'emarginazione? A Berlino Est abbiamo conosciuto pure Christoph Hein e la sua simpatica famiglia. Quest'uomo gentile e spiritoso ha scritto le storie più dure e spietate che io abbia letto sulla vita nei paesi socialisti. E che quest'uomo, che ha raccontato senza abbellimenti la solitudine, la miseria morale, la mancanza di solidarietà di un paese socialista, sia rimasto ancora legato agli ideali di un socialismo dal volto umano, è una delle tante belle sorprese che l'Est ci ha regalato in questi anni di lavoro.

Forse è stato questo il successo più bello per noi delle Edizioni e/o: tutte le cose che abbiamo imparato in questa frequentazione dell'altra Europa, questo premio per la nostra curiosità, l'aver trovato tante verifiche a un Est che avevamo immaginato, e l'aver trovato spesso qualcosa che ha superato la nostra stessa immaginazione, un mondo diversificato di cose terribili e di cose affascinanti, con una storia straordinariamente ricca e un presente così interessante. Se ripenso a tutti quelli che in questi anni tentavano di scoraggiarci: l'Est?!, ma lasciate stare, non interessa nessuno, è così grigio e noioso...»