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Il Nordest in decadenza, avanguardia di un’Italia che non sogna il futuro

Autore: Marco Cicala
Testata: Il Venerdì di Repubblica
Data: 2 settembre 2005

Corruzione. Cinismo. Illegalità. Legami con la malavita. L’imprenditoria descritta da
Massimo Carlotto nel suo nuovo libro, ambientato in Veneto, fa paura.
Ma attenzione, avverte lo scrittore, sta facendo scuola

Nel Veneto della commedia all’italiana quello punzecchiato da Pietro Germi
in Signore & Signori, per intendersi la gente «perbene» aveva, alla fine,
un unico imbarazzante segreto: l’amante. Le corna. Nel Veneto raccontato da
Massimo Carlotto i segreti non sono più così ruspanti. Borghesi e nouveaux
riches
non si conducono nella, tutto sommato comoda, simmetria di una doppia
vita e d’una doppia morale. Di vite ne hanno tre o quattro, quasi tutte
inconfessabili. Di morale praticamente nessuna. Le menzogne non attengono
più alla sola dimensione del sesso. Psicologie, desideri, moventi sembrano
ormai massicciamente colonizzati da un’altra sfera: quella economica. Come
se, con il suo sovrappeso clandestino di illegalità e immoralismo, il
mercato neocapitalista si fosse totalmente incorporato l’inconscio degli
individui. È questo lo sfondo, nerissimo, di Nordest, l’ultimo romanzo di
Carlotto, scritto con Marco Videtta. Sottotitolo: «Ascesa e declino del
capitalismo nel Nordest italiano».

Per raccontare la crisi di una cultura industriale avete scelto come
osservatorio la famiglia. E il suo sfascio. Una sorta di Buddenbrook in
versione noir. Nel Nordest, dove vanno cercate le radici della decadenza
borghese: all’interno di un modello economico o altrove?

«In un ‘peccato originale’ di quel modello. Dalla fondazione di Porto
Marghera, negli anni Cinquanta, si sono inanellati errori che hanno portato
alla crisi attuale. Errori di una classe dirigente e imprenditoriale che non
ha mai saputo pensare uno sviluppo che andasse al di là del suo portafoglio.
A differenza delle dinastie industriali del Nordovest anch’esse in crisi,
ma per altre ragioni in Veneto ci si è limitati a una politica di piccolo cabotaggio,
navigando a vista. E oggi resta un mucchio di macerie».
Nordest ha l’impianto di un giallo classico, con un plot a scatole cinesi.
Ma è anche un grande «noir economico».

«Con Marco Videtta l’abbiamo scritto leggendo per tre anni le pagine
economiche dei giornali veneti. Non ci siamo inventati nulla».
La vostra «Tac» è impietosa: prima che economica, la «malattia mortale»
sembra essere «malattia morale».

«La corruzione è diffusa. Non è un caso che l’affaire dell’Antonveneta sia
scoppiato proprio a Padova. È il frutto di una politica che va avanti da
anni. Quel modello produttivo è sorto da una commistione tra economia legale
ed illegale. Molte ricchezze sono nate con soldi che non si capiva bene da
dove venissero. L’evasione fiscale è ampia. Nel libro parliamo anche
dell’inquinamento. È noto che gli industriali veneti si sono affidati alla
camorra per risparmiare sui costi dello smaltimento di rifiuti nocivi. Ora
vanno in Romania e in Cina. Per risparmiare, e perché lì possono inquinare
senza problemi. Tanto non è casa loro».
Dopo aver letto il libro non si sa se nel Nordest è meglio non metterci più
piede o invece andarci perché è lo specchio d’un intero Paese. Paese che i
sondaggi definiscono sempre più depresso.

«Io credo che ci si debba andare. Qualcuno lo ha definito ‘il più grande
laboratorio criminale d’Europa’. Se, in un giorno, i blitz della Polizia
scoprono 28 laboratori clandestini, dove cinesi in stato di semischiavitù
passano dodici ore a cucire jeans, la cui tela è fornita da grandi aziende
che poi su quei pantaloni mettono il marchio, e li vendono nei negozi,
allora significa che si tratta di una catena criminale complessa, tutta da
studiare».
Con l’universo industriale declinano anche vecchie forme di criminalità.
«Nel Nordest la vecchia malavita italiana è scomparsa. Arretrano
organizzazioni come mafia e ‘ndrangheta. Oggi i malavitosi italiani lavorano
al servizio di culture criminali straniere. Soprattutto dell’Est europeo. Il
cavalcavia di Mestre è forse lo snodo del commercio illegale più importante
d’Italia. Da lì transita ogni genere di merce dalla Turchia o dalla
Bulgaria... C’è una forte incapacità a capire questi nuovi fenomeni. Anche
perché non c’è stato ancora un pentitismo che abbia permesso di illuminarne
le dinamiche».
La fortuna del Nordest ha avuto come propulsore le famiglie. Ma il tandem
famiglia-ricchezza sembra inceppato.

«Sì, al punto che certe associazioni di categoria hanno fatto ricorso a
psichiatri e psicologi tipo Paolo Crepet per cercare di capire come mai i
giovani rampolli non siano più in grado di seguire le orme dei padri e di
gestire le industrie».
Il neocapitalismo sul lettino.
«Dicono che la giovane classe imprenditoriale sia inefficace perché è nata
nell’opulenza, non si è fatta da sola, non si è mai rimboccata le maniche.
La trovo una spiegazione riduttiva. È che gli eredi non riescono a reggere
la competizione del nuovo ciclo produttivo».
In Italia, il nucleo familiare non vacilla solo tra le classi ricche.
«No. Con la fine dello stato sociale, le principali ansie economiche
pensione, sanità, istruzione hanno trovato sfogo nella famiglia, che non è
in grado di sopportare queste tensioni e implode. Talvolta violentemente.
L’Italia è il Paese europeo con il maggior numero di delitti familiari».
In questo caos, il noir cerca, se non di mettere un po’ d’ordine, quantomeno
di ragionare. In ambito culturale, però, manca una forte personalità critica
di riferimento, pasoliniana...

«Manca. La letteratura ‘bianca’, non poliziesca, non riesce più a raccontare
questo Paese. Il noir ci prova entro i limiti del genere. Forse potrebbe
farlo ancora meglio. Abbandonando i plot tradizionali per parlare della
Storia».
Eppure di Storia la letteratura parla sempre più spesso. Ultimo caso
editoriale, Alessandro Piperno: il suo Con le peggiori intenzioni ripercorre
vicende generazionali dal boom agli anni 80.

«Ho letto Piperno e non mi è piaciuto. È incapace di raccontare qualcosa di
importante. Resta ancorato a microstorie che non dicono niente dell’Italia
di oggi. Né di quella di ieri».
Anche la lingua italiana sembra stanca, incapace di reinventarsi. Ogni anno
i dizionari includono nuovi vocaboli, ma per lo più si tratta di parole
importate o fabbricate dai media...

«La lingua assomiglia sempre di più al linguaggio televisivo. Perde spazio e
memoria. Basta ascoltare la tv senza guardare le immagini per rendersi conto
quanto il linguaggio dello schermo sia misero, ripetitivo e poco educativo».
E il serbatoio dei dialetti? Non riesce più a dare una scossa alla lingua?
«Ci sono scrittori come Andrea Camilleri che usano meravigliosamente il
dialetto. Io ho deciso di non utilizzare il veneto perché è una lingua che
non esiste più. Un ibrido italianizzato senza grande spessore. I ragazzi
lasciano la scuola sempre prima e l’ignoranza fa male anche al dialetto».
Vacilla anche un altro perno dello sviluppo industriale italiano: la
provincia, quella alla Pietro Germi.

«È scomparsa. Non solo per colpa della globalizzazione: per l’assenza di una
vera politica territoriale. L¹industrializzazione lascia un ambiente
stravolto sul piano urbanistico e paesaggistico. Non c’è più soluzione di
continuità tra un paese e l’altro: solo una sfilza di capannoni, molti dei
quali in affitto, con affissi fuori cartelli in cinese».
Intanto, si grida al «pericolo giallo».
«Prende piede una cultura secondo cui la colpa è tutta degli altri. Per
settimane ho raccolto, al Nord, barzellette sugli immigrati. In versione
riciclata, sono le stesse con cui un tempo si sfottevano i meridionali. Ma
l’operazione culturale della Lega è stata doppia: contro gli stranieri e
contro lo Stato».
Così come descritta nei suoi libri, la classe imprenditoriale e, più in
generale, il ceto medio, avrebbero perso in Italia qualsiasi senso del
futuro.

«Sta proprio qui il nocciolo del declino. Nessuna voglia di immaginare il
futuro, nessun progetto a lunga scadenza. Lo vediamo nella politica e in
un’economia come quella del Nordest che, per esempio, non ha mai investito
nella ricerca. Ha sempre raccattato tecnologie a basso costo e oggi fugge
all’Est o in Cina portando strumentazioni obsolete e sfruttando forza lavoro
a buon mercato. Ma, da scrittore, mi pare che questa ‘vista corta’ si sia
impadronita anche del mondo editoriale italiano: ossessionato dai
bestseller, invece di puntare sugli autori».
Nel «suo» Veneto ci sarà pure della gente che reagisce al collasso...
«Fioriscono le iniziative di solidarietà. Ma troppo spesso sono astratte.
Che so: ‘Contro la guerra’. Oppure s’impegnano per l’Africa. La sinistra si
è dimostrata storicamente incapace di opporsi. Gli unici in grado di aprire
un discorso conflittuale sono stati gli ecologisti. Per il resto abbiamo
assistito soprattutto a lotte di retroguardia».