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Non sapevo di aver sposato un aguzzino

Autore: Febe Zambrano
Testata: F
Data: 22 luglio 2020

Non sono tante, le cose che una donna può diventare quando è una casalinga in una città straniera in cui non si parla nessuna delle sue lingue madri. Quando la sua vita ruota attorno al marito. Quando è intrappolata da due mesi nello spazio di tre stanze con veranda». Inizia così Ogni volta che ti picchio, il romanzo nel quale la scrittrice, poetessa e attivista indiana Meena Kandasamy racconta, con qualche scarto rispetto alla realtà per ragioni narrative, ma anche di sicurezza personale, la sua storia di giovane donna sposata con un uomo che, subito dopo il matrimonio, da rispettabile professore di sinistra si trasforma in abusatore e aguzzino, fino ad arrivare allo stupro ripetuto e alle minacce di morte. Il loro rapporto è durato poco più di quattro mesi: Meena è riuscita a liberarsi grazie a una grande autoconsapevolezza e a una famiglia che l'ha sempre sostenuta. «Mia madre», racconta oggi, che ha 36 anni, una nuova famiglia e abita a Londra dove è dovuta emigrare in seguito alle intimidazioni ricevute nel suo Paese, «mi ha spinta fin da subito ad andarmene. È una donna molto indipendente che, cosa non comune, aveva deciso di sposarsi a 31 anni e con un uomo di una casta diversa dalla sua. Addirittura mi diceva: "Non sposarti prima di avere investito nella tua vita". Ma io, a 26 anni, ho voluto comunque fare quel passo».

Meena, perché ha deciso di scrivere questa storia?

«Gran parte del mio lavoro di scrittrice è trattare storie dolorose, penso siano le uniche che debbano essere raccontate. Se non ho dato un nome o una descrizione ai protagonisti è perché volevo che qualsiasi ragazza potesse pensare: "Questa è la mia storia". Si crede spesso che la violenza sulle donne sia individuale, che riguardi solo quella specifica persona. Io invece ho voluto rendere la mia storia universale. Dopo la pubblicazione mi hanno scritto anche alcuni uomini dicendomi di avere regalato il libro alla sorella che aveva lasciato il marito o che, dopo averlo letto, aveva aperto gli occhi».

Come fa una donna istruita e femminista a finire in un simile vortice di violenze?

«La protagonista è reduce da una grande storia d'amore con un uomo che non voleva impegnarsi. Era vulnerabile. Incontra il suo futuro marito online, durante una campagna contro la pena di morte. Era un ex guerrigliero, l'aveva subito incantata. Prima del matrimonio, non aveva idea di quello che l'aspettava: nessun progetto, tranne quello di trasferirsi nella città dove lui insegnava. All'inizio è stato il divieto di truccarsi, poi la denigrazione del suo lavoro di scrittrice. Poi il non poter uscire da sola, la proibizione di usare internet, la cancellazione di tutti i file dall'hard disk. Ogni volta, una piccola erosione delle libertà, fino ad arrivare alla violenza fisica».

Quando ne parla, non si sofferma mai sulle botte, sulle ferite. Perché?

«Se avessi descritto quanto facevano male, quanto non mi facessero dormire la notte, i medicinali che usavo per curarle, avrei creato automaticamente una vittima. E la mia non è la storia di una vittima, ma di una donna che lotta, che ragiona su come uscirne, che pensa sempre al passo successivo. Non mi interessava soffermarmi sul processo dell'andare in pezzi, ma su quello della capacità di resistere fino a lasciarsi quella situazione alle spalle».

Lei parla molto liberamente di sesso nei suoi libri. Le ha causato problemi?

«Sì, fin da quando scrivevo solo poesie. Pensi che quando frequentavo il college avevo un'amica musulmana che si è vista rifiutare un accordo matrimoniale con un ragazzo perché, tra le varie motivazioni, "era una di quelle donne che leggono le poesie di Meena Kandasamy"».

Quanto è importante, per una donna, la libertà sessuale all'interno del più ampio concetto di libertà?

«La risposta è diversa a seconda della cultura da cui si proviene. In India sono ancora fortissime le pressioni perché una donna arrivi vergine al matrimonio. Per noi, andare a letto con un uomo da non sposate ha un significato diverso dall'avere semplicemente voglia di fare sesso: è un atto di ribellione, è un volersi prendere la libertà di fare una cosa che la società ci vuole proibire. La libertà sessuale, in una cultura oppressiva come quella indiana, è un atto di femminismo, quindi politico».

Lei scrive: «Non ho mai capito lo stupro prima che capitasse a me». Cosa voleva dire?

«Che cosa è uno "stupro"? Spesso ne abbiamo un'idea come di qualcosa di cinematografico: urla, vestiti strappati, inseguimenti, sangue, uomini ubriachi. Ma le cose possono essere molto diverse. Si parla molto del consenso, ma il consenso non è semplicemente una questione di dire di sì o di no, perché una donna può arrivare a dire sì per non essere uccisa. E, attenzione, quello non è il consenso a un rapporto sessuale, bensì un consenso allo stupro per salvarsi la vita. Una donna può dire di no, ma quanto può durare? Un mese, due mesi? Arriverà un punto in cui quel consenso lo darà per evitare violenze peggiori».

**Che cosa impedisce a una donna di uscire da una relazione violenta? «I motivi sono tanti. C'è la questione economica: nel mio caso, anche volendo, non avrei potuto procurarmi un lavoro perché lui me lo avrebbe impedito. Inoltre, anche se una donna è indipendente, fuori troverà sempre quella stessa società pronta a giudicarla per aver lasciato il marito. C'è il fattore isolamento: nessuno durante i mesi del matrimonio aveva il minimo sentore di quanto mi sentissi sola. E poi, molte hanno paura di restare sole».

Questa esperienza le ha fatto perdere fiducia nell'amore? «No, io sono sempre innamorata! L'amore per me ha sempre a che fare con qualcosa di bello: è bello quando finisce, è bello quando funziona, è bello quando non funziona. Credo di essere troppo romantica per farmi spaventare dall'amore».

Che cosa ha cercato nel suo partner attuale?

«La cosa più importante: che rispettasse le donne».

La sofferenza del suo primo matrimonio e la violenza subita l'hanno resa una donna diversa?

«No. Non ritengo che quello sia stato un momento fondamentale della mia vita: l'unica cosa buona che è rimasta è questo libro. A cambiarmi è stato altro: la prima volta che ho scritto una poesia, la pubblicazione del mio primo libro. Solo le cose positive».

Lei ora ha due figli. Quando e come racconterà quello che le è accaduto?

«Perché pensa che dovrei farlo? Certo, se mi faranno delle domande darò loro le risposte, ma, davvero, non penso che quell'esperienza mi definisca come donna né come persona. Vorrei essere conosciuta solo per quello che ho fatto e che scrivo, non per quello che mi è capitato».