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«Alla fine di un giorno noioso», Massimo Carlotto e il noir in Veneto

Autore: Paolo Petroni
Testata: Corriere del Veneto
Data: 10 maggio 2011

Massimo Carlotto torna a raccontarci con equilibrio narrativo e in un ottimo romanzo noir, senza cedimenti e punti deboli, la esemplare vicenda di Giorgio Pellegrini, il protagonista di «Arrivederci amore, ciao» uscito giusto 10 anni fa, un extraparlamentare che era passato dalla lotta armata alla criminalità, seduttore, abile ricattatore che le persone le sa solo usare, attratto dalla violenza ma anche alla ricerca, costi quel che costi e quante vite sia necessario, di un suo onorato posto nella società italiana, in quel Nordest industriale di cui lo scrittore già individuava chiaramente il cuore nero. Pellegrini lo avevamo lasciato, poco dopo aver ucciso la sua compagna Roberta, con una fedina penale tornata pulita grazie agli uffizi dell’avvocato Sante Brianese e mentre stringe la mano di Martina, promettendo di farne la propria moglie in una vita rispettabile.

Lo ritroviamo oggi sempre alla guida de La Nena, il suo ristorante divenuto alla moda e quartier generale degli affari di Brianese, ormai deputato, mentre Martina è una felice moglie vittima, le fabbrichette del Veneto sono state delocalizzate all’estero, i Padanos sono vincenti e l’intreccio tra politica e criminalità organizzata si è fatto economico e inestricabile, tra giri di escort, speculazioni, appalti, usura, riciclaggio di denaro sporco. «Il Veneto - spiega un influente personaggio - si regge su un blocco di potere definito, composto dalle varie unioni degli industriali, i Padanos, il partito in cui milita Brianese, e settori responsabili dei sindacati. Nessuno è particolarmente simpatico all’altro, ma sono le reciproche convenienze a cementare le loro alleanze», in cui tutti sono intoccabili e insostituibili.

Carlotto lavora sempre sulla realtà e molti suoi libri con all’interno una forte denuncia nascono da vere e proprie inchieste e ricerche, ma nessuno come questi due riesce a raccontarci l’Italia degli ultimi trenta/quarant’anni, quella che è andata corrompendosi dall’interno e rischia di inquinare la vita di tutto e di tutti quasi senza che ci se ne accorga. Un racconto duro, forte, teso, con una scrittura ritmata e asciutta come non mai, senza digressioni o riempitivi inutili, capace di andare dritto al segno, coinvolgente. Il problema, come sappiamo, ormai è l’arroganza e la presunzione di invulnerabilità del potere, nel caso specifico dell’onorevole Brianese, che così pensa ingenuamente di poter dare una bella fregatura (da due milioni di euro) al servizievole amico, che reagisce: «Avevo sparato in testa al mio miglior amico, avevo tradito, rapinato, stuprato, eliminato chiunque si fosse messo di traverso per impedirmi di raggiungere il mio obiettivo.

Loro avevano conosciuto un uomo diverso, disposto a tutto pur di piacere e essere accettato. Non avevano la minima idea di chi fosse veramente Giorgio Pellegrini», che si troverà a fare i conti niente meno che con la ’ndrangheta. Un vero noir, certo, in cui esplode la violenza e i morti tirano altri morti, e il suo sfogo è il sesso con la socia sottomessa in un giro di prostitute d’alto bordo Nicoletta Rizzardi, con la succube Gemma amante oggetto e, talvolta un po' più tenero, con Martina moglie ridotta in schiavitù fisica e psicologica. E, fino alla fine, ci si chiede se anche questa volta ogni cosa si riappianerà, come a sperare che tutto questo non abbia a che fare col mondo reale in cui ci troviamo a vivere.