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Recensione: Nives, di Sacha Naspini

Testata: Diario di una dipendenza
Data: 3 settembre 2020
URL: https://diariodiunadipendenza.blogspot.com/2020/09/recensione-nives-di-sacha-naspini.html

Se telefonando io potessi dirti addio, ti chiamerei, cantava la voce dell’intramontabile Mina. Ma quante cose si possono dire alla cornetta? Quanti segreti da rivangare, quanti amori interrotti di cui venire finalmente a capo, quante catastrofi scongiurate o al contrario provocate? Tutto per una parola di troppo. Tutto per togliersi un maledetto sassolino dalla scarpa, lo sfizio.

Era la prima volta che quella sua vecchia amica si scopriva così, in fatti che affondavano nell’ignoranza popolare. Alla fine non gli costava nulla lasciarle credere in veggenti o pozioni, defunti che ti parlano col verso della civetta e sassi magici. Che ognuno scelga la solitudine che vuole. Anche darsi una spiegazione da pazzi fa compagnia. Da quando il marito Anteo è collassato nel pastone dei maiali, Nives – vedova di fresco – vive notti inquiete in quel di Poggio Corbello. Settantenne all’apparenza dura di cuore, brusca e incapace di grandi moine, si rifiuta fermamente di seguire figlia e nipoti in Francia – la Linguadoca, come la chiamerebbe lei. Non ha mai abbandonato la provincia. Non ha mai pianto, neanche durante le esequie di Anteo. Ma eccola comporre un numero d’urgenza, sull’orlo del tracollo emotivo, per avvisare il veterinario del paese: Giacomina, la gallina con la zampa offesa e lo sguardo rincretinito che tiene da un po’ come dama di compagnia, si è ipnotizzata davanti alla pubblicità del Dash in TV. Dall’altra parte del filo c’è il veterinario Loriano, alticcio al solito, in lotta contro la tentazione di cadere svenuto dopo il TG della sera e il russare persistente della moglie Donatella.

Il passato è pieno di fantasmi. Per tutti. Così è e così sempre sarà. Sorretto da una struttura insolitamente teatrale, quasi da dramma radiofonico, l’ultimo romanzo di Sacha Naspini è un dialogo pressoché ininterrotto dove le sole parti descrittive sono le poche didascalie tra una battuta e l’altra. Per quanto l’espediente dia modo all’autore di regalarci l’ennesima ottima prova stilistica, al suo ultimo romanzo – breve e, a sorpresa, indolore – manca la compiutezza sperata, nonostante siano comunque presente eccessi e lungaggini. Diffidate dal contrasto della copertina: un nostalgico bianco e nero squarciato dal rosso sangue del titolo. Accantonato presto lo spunto umoristico e grottesco della vicenda, la lettura diventa una fitta conversazione – condotta, però, con una naturalezza invidiabile –, con pochi dettagli realmente scabrosi e troppe pettegolezzi.

Una certa Nives è stata massacrata nell’82. Quello che è successo dopo è un’altra cosa. Non è roba da poco vivere con lo spettro di quel che saresti potuta essere. Ti guardi allo specchio e prima di darti il buongiorno vedi quello. Quali sono i retroscena dietro il suicido della sfortunata Rosaltea, sedotta e abbandonata dal gigolò Renato? Cos’ha legato e diviso i protagonisti nell’autunno del 1982, anno di cui portano ancora qualche cicatrice? Tra sensi di colpa, sospiri e tradimenti coniugali, ho scorto lo zampino di Naspini nei personaggi ruspanti, nei loro sentimenti spesso primordiali e, purtroppo, in poche altre situazioni. In particolare l’epilogo – un’epifania melensa sul reale senso della vita – mi è parso forzato, al pari della presenza di piccoli grandi tabù inseriti puramente come marchio di fabbrica. Nives è una lettura piacevole a opera di uno scrittore da cui si pretendeva lo spiacevole, il disagio, lo shock. A uscirne realmente vincente è lei, la protagonista eponima, che ricorda un po’ la compianta Olive Kitteridge e un po’ una perfida fattucchiera. Delusa atrocemente trent’anni prima, qui reclama attenzioni, vendetta e un’uscita di scena coi controfiocchi. La chiamata, davanti a un passato a cui dar conto, sarà a carico suo.