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Quelle verità nascoste in un groviglio di rabbia

Autore: Fulvio Paloscia
Testata: La Repubblica - Firenze
Data: 10 settembre 2020

Quante cose è Nives. Nonostante le poche pagine (131, un record di brevità per lo scrittore grossetano, qui alle prese con il racconto lungo), la nuova avventura narrativa per le edizioni e/o di Sacha Naspini è un condensato di agnizioni, di terribili verità nascoste che vengono d'improvviso a galla con il rischio di ribaltare vite intere, un groviglio di rabbia taciuta troppo a lungo che emerge in una telefonata notturna tra l'anziana donna che dà il titolo al romanzo, neo-vedova (il marito se lo è mezzo mangiato un maiale: qui l'autore torna alla dimensione agreste e paesana che ha segnato un capolavoro come Le case del malcontento, e ancora una volta s'intuisce che lo scenario è la Maremma incubatrice di vite borderline) e un veterinario. Nives che per compagnia si sceglie una gallina. Malconcia, claudicante, come metaforicamente zoppi sono i personaggi di Naspini. Eppure fedele, così affezionata da accucciarsi accanto a Nives quando, la sera, guarda la tivù, prima di trovare un sonno consolante e profondo che senza Giacomina (così si chiama l'animale) era solo una mera ipotesi. Ma accade, una sera, che la gallina, davanti alla pubblicità di un detersivo con il vortice dietro l'oblò della lavatrice in primo piano, s'imbamboli. Solo Loriano Bottai, appunto il veterinario del paese, può aiutarla. E la telefonata d'emergenza diventa racconto di una vita dove tutto non è stato come è sembrato, come desiderato, segnata da un contrappasso doloroso che nessuno conosceva (tranne lei, Nives la dura, Nives la cocciuta, Nives di pietra) e da fili misteriosi che uniscono un coro di personaggi: dal playboy che ha deflorato tutte le donne del borgo (anche Nives, persino la moglie di Lodano) ai figli di Nives e dello stesso Loriano. Narrazione teatralissima — l'idea della telefonata impone la forma dialogo, e Naspini è maestro della conversazione "deviata" — Nives è una sorta di ribaltamento de La voce umana di Cocteau: la linea qui però cone tra due personaggi che si sono amati e lasciati (anzi, abbandonati) anni e anni e prima, e che ritornano sul loro amore interrotto, incompiuto, scoprendone i risvolti più amari. «Ho buttato giù le prime dieci pagine di questo racconto un anno fa — racconta Naspini — poi le ho messe da parte per occuparmi del mio ultimo romanzo, Ossigeno. Durante il lockdown, mi sono accorto che le cose nuove che stavo scrivendo erano segnate da parole come germi, contaminazione, soffocamento e allora ho sospeso, perché cercavo altro. Avevo bisogno di una sfida nuova, e costruire un romanzo su una telefonata lo è stato: perché i dialoganti devono essere sempre sul pezzo, soprattutto si trovano a fare i conti con un pavimento interiore dove di colpo i punti di riferimento cambiano». Tutto alla vigilia di un'alba strana e misteriosa, come in Notturno cileno di Bolaño, ma in versione delirio a due.

Quante cose è Nives. È un grotesque di puro stampo naspiniano. Che, sorpresa, scivola nella commedia: «Senza voler fare paragoni indegni — sorride l'autore — in questo romanzo c'è un monicelliano senso di leggerezza amara. Nives e Loriano sono due vecchi che sfuggono a come di solito letteratura e cinema trattano l'ultima fase della vita: decadenza, oppure saggezza, oppure bonarietà, oppure romanticismo, oppure comicità su quanto si può ancora essere arzilli. Per me nella vecchiaia, invece, non c'è redenzione, ma un'ulteriore possibilità di rovesciare la scacchiera, e Nives lo fa. L'interrogativo di questo racconto è: quanto risulta opportuno, in alcuni casi, dire la verità sulle cose e quanto no?». È anche un romanzo sul rancore. Quello riottoso, autentico, "analogico", mediato non dai social ma da un più diretto apparecchio telefonico: «Un rancore delle radici, che si è stratificato negli anni, nella vita non vissuta di Nives e che, per troppa compressione, alla fine esplode, sconvolgendo la vita di Loriano come un ceffone che lascia un segno indelebile. Nives segue gli impulsi dell'umore cupo del sangue, un umore ancestrale». E alla fine ci si affeziona a questa donna. Si è dalla sua parte, nonostante tutto. Perché, in fondo, libera, forte, a dispetto di tutto, persino dei pregiudizi. Una femminilità spontanea, determinata, coalizzante che Naspini vuole raccontare, «perché mi permette di attingere a ciò che io ho dentro, di femminile. Che porta a galla cose che non sapevo di nascondere, a mitomanie di cui sento solo una lontana presenza».

Quante cose è Nives. Persino qualcosa di molto simile a uno spin-off de Le case del malcontento. Da quel pozzo senza fondo di storie, Naspini torna a attingere l'italiano sporcato di maremmanismi: «Cerco di non cedere alla tentazione del vernacolare gratuito. Prendo a riferimento l'italiano fermo inserendo un sottotesto che respira di parole e modi di dire locali. Perché quella è la mia algebra interiore. Una geografia dell'intimo che rispecchia la geografia che mi circonda».