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Naspini tra rabbia e solitudine

Autore: Fulvio Panzeri
Testata: Avvenire
Data: 2 ottobre 2020

I risultati, cui giunge, in termini linguistici, ma anche di sapiente capacità strutturale nella conduzione del racconto, l’ultimo romanzo breve di Sacha Naspini fanno nascere un interrogativo che coinvolge l’attenzione della critica in Italia. Ci si chiede come mai uno scrittore del valore ormai certo, dopo quel piccolo capolavoro che è Le case del malcontento, come Naspini non abbia ricevuto quei riconoscimenti che scrittori meno solidi continuano ad avere. Nonostante questo Naspini continua su un suo percorso che sa deviare in altre direzioni, pur mantenendo una direttiva sempre solida e riconoscibile. Così il nuovo romanzo si pone in diretta relazione con quel “malcontento” che vibrava nel romanzo corale, spostando lo sguardo sull’esistenza di una donna, Nives, che si ritrova a sessantasette anni, vedova, dopo la fine improvvisa del marito, tra maiali, conigli e galline da accudire e la solitudine riporta in scena un passato che si è sedimentato dentro, come una sorta di rabbia silente, con scelte e accadimenti tenuti segreti, seguendo il corso di un’esistenza che aveva nel marito una certezza, ma dentro un fondo di non detto, costretto e soffocato dentro un’apparenza di normalità. Naspini sceglie dapprima il tono tragicomico che ricorda il meglio dicerta “commedia all’italiana”, soprattutto quando il viatico alla sua nuova condizione diventa una gallina zoppa che ospita in casa, accudisce come se fosse l’animale domestico più normale. Diventa una sorta di compagna per un futuro che lei vuole trascorrere lì, dove è sempre stata, rifiutando l’invito interessato della figlia, accasata in Francia, a raggiungerla. Lei sceglie l’isolamento del suo podere, anche perché probabilmente c’è un passato incandescente che torna a ribollire, dopo che la morte del marito le ha tolto la regolarità e la sicurezza delle giornate. Quando anche la gallina sembra andare in tilt, dopo aver visto una pubblicità alla televisione, che la lascia in uno stato ipnotico, Nives è presa dallo sconforto e una telefonata determinerà l’esito del romanzo, ma anche il suo centro espressivo e strutturale, che diventa racconto, possibilità di raccontarsi, tra detto e non detto, proprio grazie a un dialogo, che si svolge in piedi, a tarda sera, tra una donna che chiede un banale aiuto per la sua gallina imbambolata e il veterinario, che conosce da una vita, non del tutto sobrio, visto che il vizio del bere ormai lo assedia da anni. Così il racconto procede con accenni che diventano sempre più imbarazzanti; riguardano relazioni, storie tragiche, inganni della vita, che lentamente rivelano anche verità scomode per il veterinario che Nives gli ha sempre taciuto. Lei assume un tono che va dall’ammiccante allo sberleffo, liberando tutto il nero del suo malcontento, in una forma di rabbia covata dal tempo, che sembrava sepolta nel passato di una gioventù dove gli equilibri erano più leggeri, ma che il tempo trascorso sembra aver avvelenato, fino a sentire la necessità di un faccia a faccia risolutivo, in piedi, attraverso la cornetta di un telefono che diventa impietoso tramite per la rivelazione del«contorno di sé ridisegnato nella solitudine».