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Ramondino, la grande utopia

Autore: Pier Luigi Razzano
Testata: La Repubblica
Data: 17 agosto 2020

Per Fabrizia Ramondino i bambini furono il centro della sua esistenza politica. Se ci poteva essere un’azione incisiva di crescita sociale che potesse intervenire in quelle zone ignorate dal boom degli anni Cinquanta che aveva offerto un vero sviluppo solo nei consumi, doveva essere in favore dell’educazione, dei diritti dei bambini. Nella dispersione, nell’abbandono, nelle condizioni di disagio e di estrema povertà, il presente le apparve incrinato, e se non ci fosse stato un intervento non sarebbe esistito il futuro. A testimoniare gli anni d’impegno di Ramondino dal 1960 al 1966, torna in libreria “L’isola dei bambini”, raccolta di memorie (con un’introduzione di Marco Rossi-Doria) di una stagione militante che la scrittrice trascorse come volontaria prima a Quarto, contrada Torre Piscicelli, dove fu allestita una scuola in una stalla «dotata con cavalletti lasciati dai muratori nella rimessa e di sedie sottratte alla cappella della torre», poi a Napoli, in pieno centro antico.

«Il paese dei bambini è in nessun luogo e dovunque. In quegli anni lo trovavo sempre», indicando in questo modo quanto lei, con un vibrante slancio, sentisse l’inevitabile compito di dare all’infanzia una residenza stabile, effettiva, attraverso una quotidiana azione politica che la politica e i partiti e la burocrazia troppo spesso dimenticavano. Così nacque, nel 1963, l’ARN (Associazione Risveglio Napoli), in un appartamento di Palazzo Marigliano, dove Ramondino, con un folto gruppo di volontari educatori – che ribattezza come «disparato equipaggio» – si dedicò all’insegnamento ai bambini, a corsi serali, «pronti ad assolvere i compiti più disparati, dall’attintatura delle stanze alla compilazione delle schede», compresa anche la preparazione della refezione. Era la stagione pre-Sessantotto, e l’equipaggio a salvare i ragazzini dal mondo, con Raul l’anarchico con una passione per Fitzgerald, Vera la socialista radicale e antistalinista che aiutava per «un modo di essere, non il risultato di una vittoria etica sull’egoismo», Nicola che portò all’ARN numerosi volontari che si erano formati con Rocco Scotellaro, insieme a molti altri come il già noto pedagogista Serafino Lippi amico di Aldo Capitini, quando illustravano il loro progetto, spiegavano le attività dicendo che era «laico», riceveva le più disparate reazioni: «Trasalivano, la cortesia si mutava in sbrigativo congedo». Non mancarono accuse, i denigratori si scagliarono con veleno e strafottenza, come se volessero affondare la barchetta dell’equipaggio. “Siete come un guscio di noce nel mare!”. E per mare intendevano il male di Napoli, e nella meta stessa della navigazione, l’isola di Utopia. Vi navigavamo ben consapevoli che la critica maggiore rivolta all’utopia, quella di fondarsi sui presupposti di un’ideologia della povertà, era caduta da sé, anche nel sud, in quegli anni detti del boom economico». L’equipaggio proseguì per qualche anno la traversata, scoprendo l’infinito arcipelago di bambini, di isole lontane dalla costa, dallo sguardo della società e degli adulti; ci fu poi, negli anni Settanta, altra stagione, l’esperienza della Mensa dei Bambini Proletari. A corredare il libro una raccolta di testi dei bambini. Sono scritti in dialetto quelli di Quarto. “Primma l’acqua nun ce steva. E jeveme ‘ncoppa ’e Casulare e là pigliavemo l’acqua. E diceveno tutte quante: ca, l’acqua nun vene mai. E ’a primma vota avviareno a attaccà l’acqua. Sotto all’elezioni”. La potenza è tutta lì, nella totale lucidità e naturale precisione con cui i bambini individuano, dalla loro distanza, i meccanismi che regolano il mondo, mentre gli adulti e la società li credono lontani dal loro continente.