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Mehdi e la ricerca di senso in banlieue

Autore: Enrico Grandesso
Testata: Avvenire
Data: 28 ottobre 2020

Rimasugli umani portano avanti una parvenza di vita nell'ambiente disperato della banlieue francese più povera, a prevalenza magrebina; in mezzo a loro Mattia, un bambino di 11 anni cresciuto troppo in fretta, che tra un cartone animato e una noiosa giornata di scuola deve sopravvivere a una realtà familiare torva e inafferrabile. È lo scenario narrativo di Nulla si perde, romanzo di Cloé Mehdi da poco uscito per le edizioni e/o (pagine 290, euro 18).

Orfano di padre, mentre sua madre è introvabile e i suoi due fratelli sono lontani, Mattia vive con un tutore, Zé, giovane di buona famiglia innamorato della matematica e della poesia, che ha l'esigenza di rifarsi una vita dopo un'esperienza drammatica. Il bambino condivide con Zé e con Gabrielle, la sua compagna, lunghi silenzi senza lacrime: «Sono nato in un ambiente in cui le lacrime erano superflue. Non ti puoi permettere di frignare, quando senti che il mondo è sull'orlo del baratro, pronto a precipitare al minimo momento di distrazione. Il filo teso sul precipizio».

Su questo filo teso, tra gli adulti pericolanti che lo circondano, Mattia è spettatore delle vicende di un quartiere sconvolto dai numerosi arresti e dalle condanne severe ai molti giovani sbandati, casseurs colpevoli di danneggiamenti e risse, in un clima di odio razziale e di alienazione che la severità della polizia non può in alcun modo mitigare. Sullo sfondo l'assassinio, avvenuto anni prima, del quindicenne Said e l'assoluzione, mai accettata nel quartiere, del poliziotto coinvolto nell'episodio. Gli esili fili di speranza della vita di Mattia si scontrano col peccato originale che marchia l'esistenza tragica della periferia senza gioia e senza futuro. In uno dei pochi momenti di dialogo col suo tutore, Zé gli consiglia: «Rimani fuori dal mondo. Forse è un po' da vigliacchi, ma è l'unico modo per non fare del male. Io almeno non ne conosco altri, anche se spero di avere torto».

Nulla si perde racchiude una forte carica di denuncia, mettendo in rilievo la disumanità delle relazioni personali e l'abisso di incomunicabilità tra abitanti e istituzioni. I temi dolorosamente attuali della mancata integrazione e della solitudine sociale, della crudezza di tante realtà ai margini scisse dalla parte presentabile della nazione, si stagliano in questo romanzo grazie a una scrittura egregiamente padroneggiata da una scrittrice autodidatta e non ancora trentenne, che alterna all'io narrante (Mattia) la narrazione esterna. L'intreccio complesso di un noir a sfondo psicosociale è altrettanto ben congegnato, giocato nella percussione emotiva straziante e ossessiva di una vendetta annunciata, dove le tessere del mosaico vanno a completarsi inesorabilmente una a una. E a scandire il respiro di un'umanità colpita duramente, spesso giunta al limite: labile inaudita espressione di una vita «che ti sbatte ogni giorno faccia a terra».