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La Traversata di Philippe Lançon

Autore: Giovanna Taverni
Testata: L'indiependente
Data: 13 novembre 2020
URL: http://www.lindiependente.it/philippe-lancon-la-traversata/

“Verso le dieci e mezzo del 7 gennaio 2015 non erano molti in Francia a voler essere Charlie”, scrive Philippe Lançon ne La traversata, il romanzo dove il giornalista francese racconta l’attentato alla sede di Charlie Hedbo a cui è sopravvissuto. L’equivoco che sopravvivere sia come continuare a vivere viene scongiurato dalle prime pagine: il romanzo di Lançon è anche il diario intimo delle cicatrici che l’uomo Philippe si porta dietro, dai colpi di pallottola che lo sfigurano all’odissea che da quel giorno inizia tra ospedali, operazioni di chirurgia maxillo-facciale, e dolore sparigliato per tutto il corpo. Quel 7 gennaio di cinque anni fa Lançon sopravvive all’attentato dei fratelli Kouachi alla sede di Charlie Hebdo, si ritrova ancora vivo a terra davanti a “una versione inedita e nera della Danza di Matisse”, circondato dai corpi dei colleghi senza vita, come quello di Tignous, “morto con la penna in mano come un abitante di Pompei raggiunto dalla lava”. In quello stato di confusione e sofferenza, ricoperto di sangue, vede la propria faccia riflessa nello schermo del cellulare, e ritrova il volto di uomo sfigurato da una pallottola. La faccia di uno “smandibolato”.

La vita prima dell’attentato era la vita di un giornalista che aveva passato i cinquanta e si divideva tra le redazioni di Libération e Charlie Hebdo; la vita alle prime ore del 7 gennaio era ancora la vita di un uomo che scambiava idee coi colleghi sul romanzo di Houellebecq appena uscito, Sottomissione. La figura dello scrittore francese aleggia come un terribile presagio in quelle prime giornate del nuovo anno del duemilaequindici in terra francese: “Quel giorno eravamo in due ad aver letto Sottomissione, io e Bernard Maris, e tutti e due l’abbiamo difeso. Quelli che lo attaccavano non l’avevano letto. È quasi sempre così.” Lançon accarezza i colleghi di Charlie con nostalgia ricostruendo gli ultimi momenti insieme prima di separarsi per sempre da alcuni di loro. Prima degli spari, prima di percorrere la strada che in ambulanza porta il giornalista dalla sede di Charlie all’ospedale Salpêtrière, dove comincia la faticosa lotta per ritrovare una faccia, e la possibilità di bere e mangiare, persino di parlare.

In cinque anni il mondo ha accelerato tanto da far esplodere paradigmi e agitare dimenticanze, eppure nelle ultime settimane Charlie Hebdo ha ripubblicato le vignette in occasione del processo per l’attentato e il dibattito è riesploso con le sue proteste e la sua ferocia, un professore è stato decapitato dopo aver mostrato in classe le vignette, un secondo attentato ha colpito i dintorni della ex sede di Hebdo, e sono tornati pure i colpi incendiari di parole – e allora cinque anni non sono poi così tanti per dimenticare, e pure le ferite che Lançon si porta dietro stanno ancora impresse sopra la sua faccia.

Ma La Traversata si tiene alla larga da parole di condanna nei confronti dei fratelli K., e il romanzo trova sempre una chiave intima per ficcarsi sottopelle – esattamente in quel punto sta la sua forza. Quasi eroina romanzesca diventa allora la chirurga Chloé, a cui sono dedicate pagine di profonda ammirazione. Pare quasi innamorato, Philippe Lançon, della sua chirurga – o forse non è amore, ma è solo tentativo di amore, attaccamento alla vita, riconoscenza. Philippe avverte il movimento uguale e opposto con cui, mentre si allontana dalla sua compagna, si avvicina a Chloé, alle infermiere, all’intero piccolo mondo che è l’ospedale – che a poco a poco diventa un rifugio che se ne sta alla larga dalla quotidianità e dai suoi affetti. Fuori da quel piccolo rifugio c’è la famiglia, gli amici scomparsi, i giornali che continuano a versare inchiostro, c’è un’intera Parigi scossa. L’11 gennaio una grande manifestazione occupa le strade della città al grido di Je suis Charlie, e Lançon ricorda così:

Manifestazione e slogan riguardavano un evento di cui ero stato vittima, di cui ero uno dei sopravvissuti, ma per me era un evento intimo. Me l’ero portato dietro come un tesoro malefico o un segreto in quella stanza in cui niente e nessuno poteva seguirmi completamente, a parte colei che mi aveva preceduto nel cammino che mi accingevo a intraprendere: Chloé, la mia chirurga. Scrivevo su Charlie, ero stato ferito e avevo visto i miei amici morti a Charlie, ma non ero Charlie. L’11 gennaio ero Chloé.

Il rapporto di quasi dipendenza tra paziente e chirurgo è uno dei momenti più commoventi delle pagine della Traversata, insieme all’incomunicabilità che separa Philippe dai volti del passato (o della vita prima dell’attentato). Prima c’era una vita di parole da dire, dopo c’è una lavagnetta con cui si accompagna nella sua camera d’ospedale per comunicare con il fratello, la compagna o l’ex moglie – in questo scarto pare incolmabile la distanza tra una vita inedita e l’irrepetibilità del passato. Il distacco dalla vita di prima prima è violento, e Lançon preferisce la compagnia di Marcel Proust e Thomas Mann per abitare lo spazio della sua camera e dei suoi pensieri. Da sopravvissuto preferisce aggrapparsi a chi può davvero salvarlo: ai chirurghi, agli infermieri, alle guardie del corpo, alla musica, alla letteratura.

Per questo La traversata diventa immediatamente uno splendido ritratto dalla natura profondamente intima, che nel suo raccontare la lotta solitaria di un uomo travolto da un evento di forte impatto sociale, si tiene alla larga da tentazioni politiche e morali. E per questo La Traversata è pure un romanzo speciale, che si lascia divorare come un memoir letterario, impreziosito da citazioni di Corneille (“ogni uomo è nella propria notte”) e visioni di operazioni chirurgiche accompagnate da un suono lontano di musica classica che scorre in sottofondo quasi come momento di ispirazione per i medici. E allora pure la chirurgia somiglia a un’arte, come nelle parole dell’eroina sommersa Chloé:

“La tentazione del chirurgo è spingersi il più lontano possibile, avvicinarsi di ritocco in ritocco alla faccia ideale. Naturalmente non ci si riesce mai, e bisogna sapersi fermare” La stessa cosa succede con un libro, le avevo risposto.

La Traversata coglie quel punto netto del viaggio in cui si va da una parte all’altra senza possibilità di tornare indietro. Oscilla tra sentimenti di distacco e attaccamento, come quando Lançon viene trasferito dall’ospedale Salpêtrière agli Invalides (“un posto in cui la potenza dei luoghi e della Storia temperava l’irrequietezza del paziente”) – deambula tra il terrore del distacco e la nostalgia di afferrarsi a qualcosa. In poche parole ci dice qualcosa di più su quella cosa oscura che è la vita. Ci dice pure che dietro la storia, dietro le ideologie, ci sono uomini in carne e ossa, che tante volte sono agitati da grandi sentimenti e spesso non sanno più che farsene delle parole.

Chloé camminava eretta, contenta, col naso al vento. Sul ponte Alexandre-III abbiamo parlato di eutanasia.