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'L'alligatore', il detective senza pistola innamorato del blues. Daniele Vicari: "In tv il mondo di Massimo Carlotto"

Autore: Silvia Fumarola
Testata: La Repubblica
Data: 18 novembre 2020
URL: https://www.repubblica.it/serietv/rai/2020/11/17/news/l_alligatore_-274647681/?ref=RHBT-VS-I270679837-P11-S2-T1

L'Alligatore è Marco Buratti (Matteo Martari), soprannome preso dal gruppo blues, gli Old Red Alligators, di cui era cantante. Ma ora ha perso la voce, la sua vita è cambiata; dopo aver scontato sette anni di galera per un crimine che non ha commesso, è diventato un investigatore privato senza licenza. Come scrive Massimo Carlotto “gli è rimasta addosso la fragilità degli ex detenuti e l’ossessione della giustizia”. Indaga per scoprire che fine abbia fatto Alberto Magagnin, il suo ex compagno di cella in regime di semilibertà, scomparso misteriosamente. I libri di Carlotto (edizioni e/o) hanno un’atmosfera particolarissima che il regista Daniele Vicari, anche showrunner, restituisce nella serie disponibile dal 18 novembre su RaiPlay e in onda dal 25 novembre su Rai 2.

Pioggia, nebbia, blues, Vicari, che firma la regia con Emanuele Scaringi, ama la definizione di “western padano” per questi gialli in cui l’Alligatore si muove in coppia con Beniamino Rossini (Thomas Trabacchi), malavitoso milanese della vecchia scuola. L’Alligatore non usa mai la pistola, Beniamino conosce il linguaggio della violenza. Con loro c’è Max (Gianluca Gobbi), un attivista ossessionato dalle sorti del pianeta. Nel cast anche Valeria Solarino nei panni di Greta, la cantante amata dall’Alligatore.

“Quando Domenico Procacci ha preso i diritti dei romanzi”, spiega Vicari “abbiamo deciso un metodo di lavoro. Io ho fatto la supervisione artistica dell’opera, scenografia, costumi, e ho fatto i provini per scegliere gli attori. Questo lavoro ha portato una sessione di prove, e piano piano Emanuele Scaringi è entrato in questa tensione. Io ho girato la prima puntata e sulla base del modo in cui abbiamo codificato le riprese, Emanuele è andato in scia, come dice lui. L’ambiente musicale era particolarmente importante perché il nostro protagonista vive in questa dimensione, il blues, musica che viene da un mondo specifico”.

Il blues accompagna il paesaggio. “La zona che va dalla laguna ai Colli Euganei è un paesaggio particolare”, continua il regista “in questa intensità di colori si colloca l’idea musicale. Teho Teardo ha fatto un bellissimo lavoro”. Schiere di lettori si sono immaginati il loro Alligatore in azione. “Per noi è stata una grandissima chance entrare in un mondo poetico molto difficile da inserire in una categoria”, dice Vicari, “anche nei romanzi di Carlotto, al di là delle citazioni, tra western e hard boiled, nel momento in cui abbiamo capito che la nostra Louisiana triste è il Veneto e fa emergere dalle proprie acque il blues, avevo bisogno di un attore che fosse cresciuto con i piedi immersi in quelle acque. L’incontro con Matteo Martari è stata fondamentale”. “Durante il provino” racconta l’attore “a un certo punto Daniele mi fa: ‘Ma questo Veneto vogliamo provare a tirarlo fuori?’. Ha un senso interiore quello che mi stava chiedendo: andare a pescare nelle radici, i ricordi che mi hanno accompagnato per note e colori. Ma la sfumatura veneta, negli anni, l’avevo persa. Al primo tentativo facevo la macchietta del veneto e di me stesso. E’ stato bizzarro tornare a parlare una lingua che avevo messo da parte, girare l’Alligatore ha rappresentato l’occasione per tornare in contatto con una realtà dimenticata”.

“Il mio personaggio” dice Valeria Solarino “nei romanzi è accennato, non aveva una sua concretezza, qui prende vita, c’è stata più libertà di immaginarla e costruirla”. Nessun timore di deludere le aspettative dei lettori? “Non ho avuto questo pensiero mai, ce l’ho adesso” risponde Trabacchi “Carlotto ha dei lettori molto affezionati e mi ha detto che quello sullo schermo era il vero Beniamino. Per interpretarlo e recuperare il dialetto milanese ho pensato a mio nonno”. Prodotta da Fandango con RaiFiction, la serie è stata scritta da Andrea Cedrola, Laura Paolucci con la collaborazione di Carlotto. L’hard boiled è un genere particolare, ci sono scene forti, anche pulp: vi siete mai censurati? “L’Alligatore non usa le armi, apparentemente è un personaggio che non agisce se si concepisce l’action solo con l’azione fisica dei personaggi” osserva Vicari, “l’action qui è legata alle scelte morali, lui discute se portare una pistola o no. Rossini, che si fa carico dell’esercizio della violenza, permette un lavoro dialettico sul tema della violenza che non è fine a se stessa, calibrata in base in base alle situazioni. Lo definirei un ‘hard boiled psicologico’. Rossini deve difendersi, attaccare e fare in modo che nessuno ammazzi Alligatore, è molto interessante e può dare sviluppi alla serie. Sono due facce della stessa medaglia, un unico modo di concepire il mondo”.