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Valérie Perrin: «Fragili e vulnerabili se ci isoliamo, ma non siamo soli»

Autore: Roberta Scorranese
Testata: Sette - Corriere della Sera
Data: 27 novembre 2020
URL: https://www.corriere.it/sette/incontri/20_novembre_27/valerie-perrin-fragili-vulnerabili-se-ci-isoliamo-ma-non-siamo-soli-20118dc6-2cac-11eb-a006-0b5f9624cb77.shtml

In questi giorni Valérie Perrin si trova nella parte interna di Villers-sur-Mer, un borgo del Calvados, in Normandia. A poco meno di due chilometri c’è il cimitero dove sono sepolti i suoi suoceri, i genitori del regista Claude Lelouch. E a Deauville, poco distante, il compagno nel 1966 ha girato Un uomo, una donna. È qui, circondata da boschi in pieno foliage, antichi fari e da affetti ormai consolidati che la scrittrice sta trascorrendo le confinement , una parola più raffinata del nostro brutale lockdown. La conversazione avrà un tappeto sonoro fatto di quei rumori tipici delle case di campagna — versi di animali che si confondono tra di loro, qualche piccolo urlo che si disperde all’aperto.

Lei, Perrin, ha 53 anni, una lunga esperienza come fotografa di scena, i capelli lunghi e scuri e da un paio d’anni sta cercando di acclimatarsi nel nuovo ruolo di «caso editoriale». Romanzi come Il quaderno dell’amore perduto (Nord) e soprattutto l’ultimo, Cambiare l’acqua ai fiori (e/o) sono diventati best seller internazionali. Lei, però, non ha perso la sua affabilità, che si traduce in una voce pronta ad accendersi di improvvisi entusiasmi.

Violette, la protagonista di «Cambiare l’acqua ai fiori», è diventata uno dei personaggi più amati durante la prima ondata della pandemia: nel settembre scorso il libro ha raggiunto le 180 mila copie vendute.

«Lo so e la cosa ha colpito anche me».

Viviamo un isolamento doloroso e ci appassioniamo a libri che parlano di cimiteri?

«Forse proprio per questo. Violette fa la guardiana in un cimitero ma non tesse un racconto della disperazione, anzi. Lei parla con i morti. E parla con loro allo stesso modo con cui parla agli animali, alle cose, a Dio. Li tiene in vita, li trasporta come per magia nel mondo dei vivi».

Un mondo dei vivi, peraltro, che in quei mesi - come anche in questi - era forse più morto di quello dei morti.

«Ecco il punto. Chiusi in casa, spaventati, angosciati, senza un orizzonte e con scarsa predisposizione a guardare al futuro, siamo davvero “vivi”? O sono forse più vive le creature a cui parla Violette, la quale affida loro un presente difficile, proprio perché è convinta che la loro natura ultraterrena possa alleviare la sofferenza?».

Un mondo “passato” che ci aiuta a sopportare il presente?

«È così. Sono convinta che buona parte della nostra fragilità nasca dall’incapacità di vivere il presente, l’adesso. Fateci caso: viviamo rivolti costantemente al passato o al futuro, basta ascoltare una qualsiasi conversazione privata oppure un servizio alla televisione. Ma ci dimentichiamo di quello che abbiamo sotto gli occhi».

La pandemia ci ha inchiodati ad un “presente infinito” e forse è per questo che molti di noi si sono riscoperti fragili?

«Prendiamo Violette, per fare un esempio. Apparentemente è una donna molto fragile: ha un passato doloroso, fa un lavoro che per molti è disprezzabile, è sola, racconta che spesso i ragazzi del paese lanciano sassi alla sua finestra, di notte, per spaventarla. Poi grazie a un guardiano di cimitero oramai vicino alla pensione, apprende l’arte del giardinaggio e prende il suo posto. Allora impara a curare le sue ferite insieme a persone che non ci sono più, prima di tutto regalando loro una nuova vita e intrecciando la sua ad una miriade di altri personaggi che germogliano, letteralmente, in pagina».

In uno dei passaggi più belli, Perrin fa dire a Violette: «Domani alle quattro c’è una sepoltura. Il cimitero avrà un nuovo residente, un uomo di cinquantacinque anni morto per aver fumato troppo. Almeno è quanto dicono i medici. Non dicono mai che un uomo di cinquantacinque anni può morire per non essere stato amato, per non essere stato sentito, per aver ricevuto troppi conti da pagare, per aver fatto troppi debiti con le banche, per aver visto i figli cresce re e poi andarsene senza neanche salutare, per una vita di rimproveri e musi lunghi in cui la sigarettina o la cannetta per sciogliere il nodo allo stomaco ci stavano proprio bene».

Facciamo una riflessione sulla natura della fragilità. Siamo abituati a tradurre questa parola come l’opposto della forza, come debolezza. È davvero così?

«Non si può essere fragili se si è davvero legati e direi quasi “fusi” con il mondo che ci circonda. Lo diventiamo quando ci stacchiamo dagli altri, dalla natura, dai ritmi più profondi che ci guidano. Violette capisce gli altri, li ascolta, ascolta persino il marito che l’ha abbandonata. E trova sé stessa nelle vite degli altri».

Ecco perché ha fatto presa su migliaia di persone: la sua lezione è che non siamo soli nemmeno quando ci convinciamo di esserlo, nemmeno se confinati in un monolocale per un mese.

«Improvvisamente, dal punto di vista fisico, ci siamo ritrovati soli con quello che abbiamo, con un mondo intorno che ha smesso o quasi di produrre e costretti a fare i conti con le nostre esistenze, le relazioni, gli errori e i traguardi. Non è facile, sa? È qualcosa che mette in crisi. E così, al culmine di questa situazione, arriva una donna dal nome floreale che ci insegna come si possa vivere anche di piccole cose. Come cambiare l’acqua ai fiori, per dire».

Nel romanzo, Violette ad un certo punto dice: «Come ogni sera ho voglia di stare sola, non parlare con nessuno, leggere, ascoltare la radio, fare un bagno, chiudere le finestre, avvolgermi in un kimono di seta rosa. Stare bene e basta.» Vivere di piccole cose, ma, aggiungerei, anche di poesia, perché penso che questo sia il cuore del libro. Uno sguardo diverso sulla morte, che non è solo dolore ma può essere anche altro: ricordo fertile, presenza mite di chi non c’è più. Violette ha uno sguardo poetico sulla morte, cosa che la rende più forte.

«Esatto, tanto è vero che nel romanzo ho intrecciato vita e cimiteri. Per esempio, la vita della protagonista cambia quando arriva Julien Seul, che parte da Marsiglia per sapere come mai sua madre vuole essere sepolta accanto a un altro uomo nel cimitero dove è guardiana Violette. In fondo, quando è che sentiamo davvero la fragilità sulla nostra pelle? Quando ci sembra di non poter andare avanti. Quando invece stacchiamo per un po’ lo sguardo da noi stessi e facciamo nostre anche le vite degli altri, quando facciamo in modo che loro possano entrare nelle nostre esistenze, beh ci sentiremo più forti. E forse anche più felici».

Forse però la cosa più fragile in questo momento è la natura. L’emergenza sanitaria ha messo da parte - speriamo solo per un po’ - quella climatica, almeno nel dibattito internazionale. Lei è molto sensibile a questi temi.

«Direi che sono molto preoccupata. Vivendo in campagna (Perrin e Lelouch si dividono tra Parigi e il piccolo borgo in Normandia dove sono adesso, ndr.) colgo segnali allarmanti. Per esempio, c’è una parte della Francia dove l’acqua scarseggia da tempo. Penso ai fenomeni atmosferici, sempre più frequenti e violenti. Penso al disinteresse di molti potenti nel mondo. Penso che solo una persona, adesso, possa fare davvero qualcosa e questa persona abita nel vostro Paese».

E chi è?

«Papa Francesco. Bergoglio è un uomo straordinario: solo lui potrebbe, attraverso la religione, radunare i potenti del mondo e convincerli che l’emergenza climatica è urgente. Oggi l’umanità intera, che siano gli Usa, l’Europa, la Cina, deve salvare la natura. Questa dev’essere l’urgenza di tutti».

Come sta passando questa seconda ondata e il confinamento?

«Certamente da privilegiata: in campagna, con mio marito, scrivendo e avendo la possibilità di sentire tutti i giorni i miei genitori e mio figlio. Ho finito di scrivere il prossimo romanzo (che uscirà anche in Italia per e/o si spera in primavera, ndr ). Ho letto molto, per esempio l’ultimo di Carlos Ruiz Zafón. Ho curato l’orto e il giardino, ho provato a cucinare. Penso però a tutti quelli che sono costretti a lavorare in presenza, magari in contesti poco sicuri e, soprattutto, me lo lasci dire, ho pensato a tutti i lavoratori e alle lavoratrici del mondo dello spettacolo, messi seriamente in difficoltà dalla pandemia. Poi, certo, ho visto qualche insensatezza in giro».

Per esempio?

«Per esempio da qualche parte si possono acquistare alcune cose ma altre, come i libri, sono protette da un velo di plastica e con il divieto di acquisto. Mi pare assurdo».

Violette dice: «La mancanza, il dolore, l’impossibilità di sopportare possono far vivere e sentire cose che vanno al di là di ogni immaginazione». Una cosa che in questo anno terribile, in modo più o meno intenso, ha toccato ciascuno di noi. La lezione dei suoi libri è che il dolore non si cancella, ma si vive fino in fondo per purificarsi?

«La fragilità si ostacola riconnettendosi alla terra e penso che uno dei messaggi più forti contenuti nei miei libri siano proprio legati a questo. Violette, per esempio, guarisce dal dolore coltivando le verdure, nutrendosi di esse, accudendo i gatti ma anche quelli che restano, quelli che sopravvivono alla morte. Conservando gli epitaffi e prendendosi cura di chi non ce la fa. Può bastare? Io penso di sì».

Andare avanti, sembra dire a tutti Violette. Che pensa, attraverso le parole di Valérie Perrin: «Sento spesso dire che perdere un figlio è la cosa peggiore che ci sia, ma sento anche dire che ancora peggio è non sapere, che più agghiacciante di una tomba è la faccia di uno scomparso affissa su pali, muri e vetrine o diffusa dai giornali e dalla televisione, foto che invecchiano ma in cui il volto che raffigurano non invecchia mai, che ancora più terribile di un funerale è l’anniversario della scomparsa, il servizio alla televisione, il lancio di palloncini, la marcia bianca e silenziosa».