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NipPop Book Club/2: la delicatezza e la forza tutte al femminile di Iwaki Kei sono le protagoniste del nostro primo incontro

Autore: Sara De Punzio
Testata: Nippop
Data: 7 dicembre 2020
URL: https://www.nippop.it/it/media-and-arts/blog/jmagazine/media-arts/nippop-book-club-2-la-delicatezza-e-la-forza-tutte-al-femminile-di-iwaki-kei-sono-le-protagoniste-del-nostro-primo-incontro

Mercoledì 11 novembre, i nostri appassionati di letteratura femminile si sono riuniti in diretta streaming sui canali ufficiali di NipPop per il primo appuntamento del NipPop Book Club di quest’anno. L’evento, curato dalla nostra Paola Scrolavezza e con la partecipazione della traduttrice ufficiale Anna Specchio, ha raccolto una serie di interessanti commenti e spunti in merito al romanzo Arrivederci, arancione di Iwaki Kei.

Arrivederci, arancione

Pubblicato in Italia nella traduzione di Anna Specchio nel 2018 da Edizioni e/o, Arrivederci, arancione è il secondo e ultimo romanzo della scrittrice giapponese Iwaki Kei, nata a Ōsaka nel 1971 ma trasferitasi in Australia ormai da diversi anni, che si è aggiudicato i prestigiosi premi Dazai Osamu nel 2013 e Ōe Kenzaburō nel 2014. L’autrice ci racconta la vita, le difficoltà e la forza di tre protagoniste femminili in quella che potremmo definire una storia sull’incontro tra persone, culture e lingue. Una storia nella quale la conoscenza dell’altro e la solitudine si tendono la mano e ci regalano la voglia di andare avanti con coraggio, determinazione e dignità. La scelta di ambientare questo romanzo in Australia rappresenta un notevole elemento di originalità, che lascerà senz’altro sorpresi i lettori pronti a un’ambientazione completamente immersa nella realtà giapponese.

Le donne: il cuore pulsante di Arrivederci, arancione

Con la sua potente delicatezza, questo romanzo ci racconta la forza di due donne: Salima e Sayuri. Salima è una rifugiata africana, costretta a lasciare il proprio paese insieme a marito e figli. Sayuri è giapponese, sogna di scrivere un libro e vive a confronto una situazione quasi privilegiata insieme al marito, ricercatore universitario, col quale ha da poco avuto una bambina. Le loro vite si incontrano e si intrecciano in Australia, dove entrambe decidono di frequentare un corso di lingua, alla ricerca di quell’integrazione e quella capacità di comunicare così difficili da ottenere, che potrebbero essere facilitate proprio dall’apprendimento della lingua inglese. Mentre Salima viene messa di fronte all’amara consapevolezza di essere analfabeta, Sayuri continua a sentirsi strettamente legata alla sua lingua madre, che per lei rappresenta una forza tanto quanto un vincolo. Col passare del tempo, traendo coraggio e ispirazione l’una dall’altra, le protagoniste dovranno imparare a fronteggiare la vita nel nuovo continente, combattendo il profondo senso di solitudine che le guida lungo tutta la narrazione. Le sosterranno in quest’impresa, oltre alla loro immensa forza d’animo e di volontà, altri personaggi che in poche pagine lasciano un’impronta di grande umanità, come la casalinga italiana Paola e un camionista analfabeta dal cuore tenero.

Le impressioni della traduttrice Anna Specchio

I partecipanti hanno interagito sulla piattaforma Zoom, che hanno raggiunto tramite il link segnalato sui nostri social. Qui sono stati condivisi opinioni e pensieri sulle delicate, coinvolgenti e intense vicende che caratterizzano la vita e la crescita professionale e personale delle due protagoniste Salima e Sayuri. Alla traduttrice Anna Specchio questo romanzo ha regalato un’esperienza davvero piacevole e mai scontata sotto ogni punto di vista. Ci ha infatti raccontato di come si sia totalmente immersa nella lettura e abbia seguito le storie di queste donne in modo molto personale, entrando strettamente a contatto con le loro emozioni e sensazioni più profonde. Allo stesso tempo, da traduttrice, sente di aver avuto la fortuna e il privilegio di poter affrontare determinate sfide linguistiche per dare la possibilità al pubblico italiano di comprendere le particolarità che fanno di questo romanzo un intreccio unico, armonioso e toccante di due storie che meritano senz’altro di essere raccontate. Ha inoltre sottolineato quanto leggere dal punto di vista di queste due donne immerse nella solitudine di un paese così lontano possa farci riflettere sul fatto che ci accade frequentemente di ricevere dall’estero, e poche volte di sentirci davvero stranieri. La narrazione molto dolce sa essere allo stesso tempo cruda e sottolinea in diverse occasioni la condizione dolorosa che le protagoniste vivono sulla propria pelle e che affrontano quotidianamente con forza e determinazione. Iwaki Kei riesce davvero a superare quella membrana invisibile che troppo spesso separa ciò che viene accettato da ciò che viene ritenuto diverso e strano.

L’impressione di Paola Scrolavezza

Collegandosi proprio al tema dell’integrazione e della sensazione di sentirsi stranieri in una realtà così lontana da quella che più ci appartiene, dalla nostra casa, anche Paola Scrolavezza ha espresso opinioni del tutto positive. Il romanzo è innanzitutto molto attuale e rappresenta uno sguardo nuovo sulla letteratura giapponese, in grado di illuminarne un’altra dimensione. A colpirla particolarmente sono state la centralità della lingua e la sorta di dibattito che l’autrice è in grado di creare mettendo in discussione il ruolo dell’inglese come lingua passe-partout. Le protagoniste vivono infatti la quotidiana difficoltà di dover esprimere ciò che provano e sentono realmente in una lingua diversa dalla propria e in una realtà così distante. I perni del romanzo sono quindi la solitudine e la lingua, che si intrecciano tra loro lungo tutto il corso della narrazione, proprio come accade alle vite di Salima e Sayuri.

La lingua e l’identità sociale in Arrivederci, arancione

Come sottolineato da Paola Scrolavezza e dalla traduttrice Anna Specchio, la lingua è una delle tematiche centrali di Arrivederci, arancione. Anche altri interventi dei nostri partecipanti hanno infatti ribadito la sua importanza all’interno del romanzo. Una delle nostre lettrici, ad esempio, si è detta profondamente colpita dal modo in cui Iwaki Kei ha trattato il tema dell’analfabetismo: qualcosa di inedito e che non ritroviamo di solito in altre opere letterarie. Questo libro, al contrario, fornisce un’immagine talmente chiara di chi non sa né leggere né scrivere da lasciarci quasi pietrificati. L’alfabetizzazione potrebbe ormai sembrare universalmente condivisa, eppure ancora oggi molte persone si ritrovano nella condizione di Salima e non necessariamente in paesi in via di sviluppo. La figura del camionista., in particolare, rappresenta uno stadio ulteriore nella descrizione delle difficoltà linguistiche e della solitudine: è sradicato dalla società perché non conosce la lingua del suo stesso paese e non la riconosce nemmeno quando la vede scritta. Le protagoniste stesse sono accomunate da questo senso di sradicamento per la loro condizione di straniere. Questo le porta a un costante confronto con l’altro, a problemi di comunicazione e crisi famigliari. Allo stesso modo, il lettore è portato a profonde riflessioni che lo spingono a mettere in discussione la propria identità sociale: esistiamo al di là dello sguardo degli altri?

La lingua giapponese nel testo originale di Arrivederci, arancione

Sottolineando l’ambiguità del rapporto di Sayuri con la sua lingua madre, è stato posto l’accento su come questo sia la forza della donna e allo stesso tempo anche ciò che la tiene ancorata al suo essere e sentirsi giapponese. Una lingua ci lega infatti per sempre alla nostra cultura e tutto questo non può essere cancellato. Paola Scrolavezza ne ha approfittato per chiedere ad Anna Specchio della sua esperienza con il testo originale di Arrivederci, arancione, e proprio quest’ultima, approfondendo il suo ruolo di traduttrice, ci ha svelato i retroscena linguistici del testo. Il romanzo in lingua originale presenta notevoli differenze a seconda dei filoni narrativi e delle voci delle due protagoniste: Sayuri si esprime in un giapponese molto ricercato e utilizza un registro più elevato rispetto a quello utilizzato da Salima. La parte di quest’ultima è invece in katakana (il sillabario che in giapponese si utilizza per il lessico straniero e, in alcuni casi, nei romanzi quando si vuole enfatizzare un termine, un po’ come il nostro corsivo), che permette di rendere anche gli errori di pronuncia che Salima commette a lezione. La traduttrice ci ha raccontato di come, insieme all’editor, sia stato deciso di mantenere nella lingua italiana l’effetto che arriva al lettore giapponese: la presenza di un difetto di pronuncia. Utilizzando il corsivo, infatti, nella nostra lingua non si sarebbe ottenuto lo stesso effetto e, di conseguenza, non sarebbero state rese le difficoltà di comunicare di chi non si esprime del tutto correttamente. In conclusione, si è optato per una leggera modifica della pronuncia in italiano, come nel caso di vento del nord che diventa bento del nord. Anche la punteggiatura ha rappresentato un vincolo traduttivo piuttosto complicato, in particolare per i pensieri di Sayuri. In lingua originale, questi ultimi sono infatti spesso molto lunghi e profondamente incatenati gli uni agli altri. Nella traduzione questo particolare stile ha reso necessario spezzare le frasi affinché i periodi non fossero eccessivamente lunghi per i lettori italiani.

Un modo inedito di affrontare il tema della maternità

Un’altra delle nostre partecipanti ha sottolineato il modo inedito in cui Iwaki Kei tratta il tema della maternità in questo romanzo. Si è detta infatti affascinata da come le protagoniste vivano questa loro esperienza in Australia anche dal punto di vista famigliare e, in particolare, nel rapporto con i figli. Il tema della maternità tende infatti ancora oggi a essere una prerogativa femminile e lo troviamo anche per questo motivo al centro delle vite di Salima e Sayuri in Arrivederci, arancione. Durante il nostro incontro, tuttavia, sono state ripetutamente evidenziate le particolarità che caratterizzano l’esperienza della maternità di queste donne e che la rendono qualcosa di unico e imprevedibile, a partire ad esempio dall’evoluzione del rapporto che Salima ha con i suoi figli, con i quali all’inizio sembra addirittura esserci una sorta di distacco. Proprio l’evoluzione di questo rapporto ha affascinato i nostri lettori: i figli di Salima all’inizio sembrano quasi restare nella penombra, come una sorta di figura unica e non si fa troppo riferimento a loro se non perché la deridono. In seguito, capiamo il motivo per cui l’autrice affronta il tema in questo modo e assistiamo a un’evoluzione sorprendente del rapporto. Si tratta di un modo di affrontare questa tematica non tradizionale e mai ovvio. A proposito di questo, un’altra partecipante fa notare come il ruolo dei figli cambi così come cambia lo sguardo di Salima stessa nel corso della sua vita, specie quando la donna riesce a trovare la sua strada.

Sabaku

Il lavoro di Salima come macellatrice di carne ha un significato simbolico che Anna Specchio è riuscita a illustrarci grazie alla sua approfondita conoscenza del testo originale. Il tema della connessione fra la vita professionale e personale della protagonista ruota, infatti, intorno al termine giapponese “sabaku”. Questo termine viene usato sia per descrivere la lavorazione della carne sia per indicare l’azione compiuta per risolvere un componimento scritto: un verbo che vale per entrambi gli usi e porta con sé il significato di aggiustare dalle parti grezze fino a dar loro una forma ordinata. L’interessante dibattito attorno a questo stretto legame è proseguito grazie a numerosi interventi. È stato notato, ad esempio, come nel romanzo vi sia un parallelismo tra il processo di evoluzione linguistica di Salima e il suo lavoro: prendere qualcosa di grezzo e trasformarlo in qualcosa di più ordinato e appropriato. Un’altra lettura suggerita potrebbe essere legata alla precarietà e al cercare di trovare la forza di accontentarsi. Inizialmente, infatti, il lavoro viene visto da entrambe le donne in modo piuttosto macabro, specialmente da Salima. Eppure, sono proprio le donne le uniche ad avere la forza e la determinazione a non mollare e a proseguire un lavoro che gli uomini per primi dimostrano di non riuscire a sopportare a lungo. Tutto ciò ci mostra quanto queste donne siano vittime senza mai davvero esserlo perché dotate di una dignità che permette loro di superare ogni ostacolo e di creare qualcosa di nuovo e bello: con la carne così come con la lingua.

Salima: dignità, forza e determinazione

L’incontro è proseguito approfondendo la figura di Salima, che i nostri lettori hanno particolarmente apprezzato perché capace di regalarci un po’ della sua grande dignità, forza e determinazione: valori che non vengono mai a mancare e che proprio nei momenti più difficili la fanno risplendere. Il tutto risulta spesso in contrasto con la natura più pacata e debole dell’amica giapponese. Come sottolineano i nostri lettori, l’intreccio dato dal cambio di voce tra le due donne e rafforzato dai nomi sempre diversi a seconda di chi parla, crea un connubio armonioso in cui riusciamo a percepire gli sguardi di ognuna su sé stessa e anche sull’altra. È stata per questo molto apprezzata la crescita personale delle due protagoniste: il modo in cui ognuna conosce sé stessa e ha la forza di scoprirsi, scoprire l’altra ed evolvere. Anna Specchio ribadisce che la determinazione di Salima, se si potesse fare un quadro motivazionale con le sue parole, potrebbe aiutare chiunque grazie alla potenza della sua meravigliosa forza. Questo libro racconta un’esperienza che può davvero essere d’ispirazione nella vita. Come spesso accade, coi libri ci si porta dietro qualcosa che resta con noi nella nostra quotidianità che potrà far parte del nostro futuro. A proposito, Paola Scrolavezza ci legge un passaggio da lei sottolineato in cui è proprio Salima a parlare: Si erano adattate sia al posto di lavoro sia alla loro mansione, ed erano entrate senza problemi persino nella routine quotidiana che ci girava attorno. L’unica nota stonata era lei, che con il tempo non era riuscita ad abituarsi né alle macchie sulle pareti né alle chiazze sui lavelli né agli altri lavoratori. Avrebbe dovuto e invece percepiva ogni cosa come fredda e distante. Voleva imparare a relazionarsi col prossimo, al pari delle sue colleghe. Ogni tanto provava a sbirciare sul quaderno dei figli mentre facevano i compiti, ma se provava a far loro qualche domanda la respingevano con la scusa che tanto non sapeva leggere l’inglese, calpestando come nulla fosse tutta la fierezza che lei aveva acquisito in mesi e mesi passati a lavorare la carne e il pesce. Così aveva preso la sua decisione: avrebbe imparato e padroneggiato alla perfezione quella lingua spinosa e avrebbe fatto vedere a tutti di che pasta era fatta.

Il consiglio dei lettori: Per la sua delicatezza, spietatezza, potenza, intensità e originalità, i nostri lettori consigliano fortemente questo romanzo. Se cercate una storia dalle pagine ricche di spunti e temi attualissimi come le barriere linguistiche, sociali e culturali, questo libro fa davvero al caso vostro!