Login
Facebook
Twitter
Instagram
Newsletter

Intervista a Massimo Carlotto

Autore: Hersilius Klein
Testata: goodthing.it
Data: 30 maggio 2011

Giorgio Pellegrini è tornato. Dopo dieci da Arrivederci amore, ciao il re del noir italiano ripropone in un nuovo romanzo il suo personaggio più nero. Alla fine di un giorno noioso è arrivato in libreria da qualche settimana. Una nuova storia che racconta la zona grigia tra crimine e potere, la faccia meno presentabile della buona società. Una nuova storia firmata Massimo Carlotto. E ancora una volta il risultato è un inquietante viaggio nel dietro le quinte del nostro Paese, tra finzione narrativa e inchiesta. Quel modo di usare il “genere” che è ormai un tratto distintivo delle produzioni carlottiane. Il suo personaggio più longevo è Marco Buratti, alias l’Alligatore, che abbiamo conosciuto anche in versione fumetto, grazie all’arte di Igort, e che abbiamo lasciato alla fine dell’ultimo romanzo della serie L’amore del bandito. Pellegrini, invece, lo avevamo conosciuto in Arrivederci amore, ciao che è poi diventato un fumetto e un film. Uno dei romanzi più intensi di Carlotto, più cupi, al quale l’autore ha deciso, a distanza di dieci anni, di dare un seguito. Ne abbiamo parlato con lui e ne è nata questa intervista (attenzione: c’è qualche spoiler).


Dopo dieci anni da Arrivederci amore, ciao è ritornato Giorgio Pellegrini. Cosa ha fatto in tutto questo tempo?

Ha gestito un locale alla moda e alcuni affari poco puliti stando ben attento a non compromettere la sua immagine di “onesto” cittadino. È invecchiato ed ha perso un po’ lo smalto criminale dei vecchi tempi. Ma certe cose non si scordano mai…

 

L’avvocato Sante Brianese, invece, è diventato un deputato. In quale misura riflette il deragliamento del Belpaese e della sua classe politica?

Ho scritto questo romanzo per raccontare proprio come la politica sia da un lato la nuova illegalità creativa, dall’altro sia diventata un ingranaggio fondamentale di operazioni criminali di alto livello.

 

In questi dieci anni, come è cambiato il Nordest dove ambienti le tue storie?

È diventato sempre di più terra di riciclaggio per culture criminali straniere, la crisi ha sviluppato l’usura a livelli inimmaginabili e molte aziende sono finite in mano alle organizzazioni mafiose.

 

Se un tempo il noir si muoveva nelle pieghe in ombra della società, il contesto in cui si muove Pellegrini (sesso, soldi, ricatto, interessi, potere) è ancora in ombra o al contrario ha preso il sopravvento, palesandosi in tutta la sua bestialità senza più quel poco di ipocrisia che lo ricopriva?

Una vera mutazione antropologica ha investito il Paese sul terreno della corruzione e dei suoi effetti collaterali. Ormai non esiste più il senso di rifiuto nei confronti di coloro che si sono macchiati di determinati reati. Sono percepiti come “accadimenti normali” all’interno di un certo sistema. Inoltre non v’è dubbio che alcuni personaggi intraprendono carriere con l’intento di farsi corrompere alla prima occasione.

 

Ogni volta che Pellegrini deve salvare la propria posizione sociale indossa le vesti del predatore e ottiene quello che vuole diventando più cattivo dei cattivi. Una figura tragica, che non cerca redenzione. È la Nemesi del sistema che lo ha forgiato, l’unico antidoto possibile?

Pellegrini si muove e si comporta come un criminale moderno, predatore in ogni aspetto della vita personale e “professionale”.  Anche la malavita non è più quella di una volta, si è trasformata per poter reggere il confronto con i nuovi mercati illegali e le nuove figure che sono scese in campo. Il risultato dell’adattamento sociale è Pellegrini.

 

Arrivederci amore, ciao è stato seguito da una versione a fumetti e poi da una versione cinematografica. Il che testimonia la forza di quella storia che trova nella scelta estrema di Pellegrini la propria sublimazione letteraria. Eppure, il finale cambia. Nella versione a fumetti (sceneggiata da Luca Crovi) Pellegrini viene ucciso da Francisca, l’anarchica spagnola. La scelta è stata tua o di Crovi? A cosa è dovuta?

Nella produzione del fumetto avevo suggerito a Crovi la vendetta di Francisca per soddisfare il desiderio di vendetta di molte lettrici. Ma si vede solo la spagnola che spara, non è detto che Giorgio sia morto, anzi! Credo che nel nuovo progetto del fumetto, il diabolico Crovi…

 

Restando al fumetto, che in Italia sconta ancora una pregiudiziale dura da abbattere, il tuo rapporto con Igort, che ci ha già regalato la strepitosa graphic novel dell’Alligatore Dimmi che non vuoi morire e le nuove copertine dei tuoi romanzi, proseguirà con nuovi progetti?

Spero di sì. Abbiamo una nuova storia dell’Alligatore ambientata a New York, città che Igort vorrebbe disegnare e che io vorrei descrivere col punto di vista del mio personaggio. Vediamo… abbiamo comunque tempi lunghi di realizzazione perché l’accuratezza di Igort è davvero impressionante.

 

Per il capitolo successivo dell’Alligatore sei poi tornato al romanzo. E il finale de L’amore del bandito sembra preludere a uno scontro epico, annunciando un nuovo episodio. Qualcuno parla di due nuove storie per completare una sorta di trilogia conclusiva dell’intera serie. Cosa ci aspetta?

Sì, ci sono due nuove storie dell’Alligatore ma, nel frattempo, sono stati acquisiti i diritti televisivi e prima di darle alle stampe preferisco vedere cosa accade sul versante del piccolo schermo. Non ho idea dei tempi perché, tra l’altro, sto lavorando ad altri progetti…

 

Il rapporto con la musica è un segno di riconoscimento delle tue narrazioni. Sono le canzoni a ispirare i tuoi romanzi, o sono le tue storie che impongono la scelta di una particolare colonna sonora?

Per scrivere ho bisogno della storia e del titolo. Poi della colonna sonora. Ogni romanzo ha la sua. In Alla fine di un giorno noioso è particolarmente accurata e un sacco di lettori mi ringraziano di averli messi in contatto con la voce di Grace Slick.

 

Come nascono le tue storie? Un romanzo di inchiesta parte dalla ricerca e poi viene incanalato in una trama, o l’idea originaria è una storia alla quale segue la ricerca? Segui una scaletta rigida? In un lavoro collettivo come Perdas de fogu (scritto con il collettivo Mama Sabot), Mi fido di te (scritto con Francesco Abate) o Nordest (con Marco Videtta), come cambia il modo di lavorare?

Il lavoro a più mani ricalca la metodologia cinematografica. Si immagina il romanzo per scene a partire da una trama accuratissima anche nei particolari. Il noir d’inchiesta parte dalla consapevolezza che l’idea possa avere un senso collettivo, oppure sia in grado di descrivere una o più realtà. L’indagine serve a raccogliere dati, notizie ma anche a verificare la potenzialità narrativa della storia.

 

Puoi dirci qualcosa del progetto Sabot/Age?

Una collana di contenuti e non strettamente di genere che racconta le storie negate, personali e collettive, in grado di raccontare quest’Italia. A fine agosto usciranno i primi due romanzi. Belli.

 

Dopo tre anni dall’uscita di Perdas de fogu, durante i quali hai portato in giro per l’Italia l’inchiesta alla quale hai lavorato insieme ai Mama Sabot, la Procura di Lanusei ha aperto un’indagine per omicidio plurimo, omissione di atti di ufficio e inquinamento ambientale. Prima dell’uscita del tuo libro quali media se ne sono occupati?

Praticamente solo un paio di giornalisti sardi. Il romanzo è stato davvero il motore di una presa di coscienza e di una richiesta di verità e giustizia che, col tempo, sono diventate inarrestabili. Il dibattito è stato ed è tuttora aspro ma la storia del poligono non è più raccontabile in altro modo. E questa è un’enorme soddisfazione che ripaga i due anni di inchiesta e le 2000 pagine di dati e testimonianze che hanno costituito la base del romanzo.

 

Sulla base di questo pensi che il noir come romanzo d’inchiesta debba caricarsi di responsabilità che competerebbero invece a chi preferisce riempire i propri spazi di «politica pop» e morbosità varie?

Di fatto ricopre questo ruolo da un bel po’ e i lettori lo hanno capito perfettamente. Mi piace ricordare che questo è l’unico Paese d’Europa dove i lettori segnalano, suggeriscono agli autori quali casi seguire e sviluppare. E sono proprio quelli di cui nessuno o pochi si occupano.

Tornando ad Alla fine di un giorno noioso, c’è un passaggio particolarmente inquietante.

Raccontò che Brianese era entrato mani e piedi nel business del nucleare. Il suo compito era preparare il terreno dal punto di vista politico e legislativo. Doveva girare il Veneto con scienziati a libro paga per illustrare la convenienza della fonte energetica e individuare i siti.

«Non capisco dove sta l’affare».

«L’operazione è finanziata da una lobby che vende impianti obsoleti dismessi da altri stati. L’obiettivo è farli acquistare come se fossero nuovi, allungare all’infinito la costruzione per rimandare il collaudo e succhiare denaro fino a quando è possibile».

È solo un romanzo?

No. Il progetto truffaldino è nell’aria (e non solo) ed è stato bloccato dallo tsunami in Giappone. Ma, memoria corta e referendum a parte, gli affari intorno al nucleare sono gestiti da lobby potenti e pericolose.