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Nouvelle Vague Hawaiana

Autore: Angelo Molica Franco
Testata: Il Fatto Quotidiano
Data: 11 febbraio 2021

Si fa presto a dire "scrittore americano" o "scrittrice americana". Infatti, anche in virtù delle sue dimensioni, il nuovo continente tende ad avoca.re prepotentemente al proprio ego letterario ogni autore: lo si vede quotidianamente sui giornali e sui risvolti di copertina dei libri, e lo si è visto anche più da vicino al tempo dell'ultimo Nobel a Louise Glück, salutata come poetessa americana, spesso dimenticando le sue origini ungheresi e la cultura ebraica. Le origini e le discendenze contano. Tutto parte dal linguaggio: se è sbagliato creare una divisione tra conquistadores e colonia (atteggiamento che lo studioso Aimé Césaire condanna, per esempio, nella distinzione tra letteratura francese e francofona), è invece più corretto ricordare le appartenenze degli scrittori, dato che ogni scrittore - citando Sainte-Beuve - "non è distinto o, per lo meno, separabile dal resto dell'uomo". E risulta importante tentare di riscoprire un certo sapore per le origini, non soltanto per una legittima spinta al riconoscimento delle diversità, ma soprattutto per omaggiare quella che potremmo intercettare come una nouvelle vague hawaiana nella letteratura americana viste le recenti uscite in libreria, anche spinte dal successo editoriale dell'ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama con il memoir sulle sue originiI sogni di mio padre e il racconto autobiografico della formazione, presidenza e della famiglia con Michelle Una terra promessa (entrambi Garzanti). Prima, però, un passo indietro, o meglio una demarcazione. Non parleremo, qui, di letteratura scritta in creolo, e non per mancanza di dignità: a lungo erroneamente considerato una sorta di lingua di serie b, "Il creolo - ci spiega Franca Cavagnoli, scrittrice e traduttrice - è una lingua altra, una lingua terza che nasce da 11 'in contro/ scontro tra la lingua del colonizzatore e quelle autoctone". Ma perché il creolo è stato il grimaldello narrativo con cui la precedente generazione di scrittori ha voluto cancellare il senso di colpa delle proprie origini e rivendicare un'autonomia culturale rispetto al colonialismo de11a Gran Bretagna. L'incursione del creolo nella grande letteratura lo ha legittimato come lingua letteraria. "Lo stesso premio Nobel V.S. Naipaul -racconta Cavagnoli - lo usa molto nei romanzi che ambienta nella sua nativa Trinidad". (...)

È ancora diversa l'appropriazione del quarantenne Kawai Strong Washburn in Squali al tempo dei salvatori. (e/o), la storia di una famiglia hawaiana che, cercando di salvarsi dalla povertà, si trasferisce negli Stati Uniti per inseguire il sogno americano, guidata soprattutto dagli straordinari poteri che possiede uno dei loro tre figli, Nainoa. "L'autore ha voluto recuperare il magico della sua tradizione - ci racconta Eva Ferri, editrice di e/o - e farlo scontrare con il cinismo della società americana, dove il mondo degli spiriti non è concepibile. E ne fa una metafora dell'integrazione del diverso. Intento che porta avanti nella lingua: già dalle prime frasi capisci che non è uno di quei romanzi americani asciutti scritti da bianchi, non c'è quel nitore a cui siamo abituati. L'autore è un hawaiano di discendenza filippina, e il suo inglese è ricco di incursioni dalle variazioni tagalog e del dialetto hawaiano".

Per la lettura di queste nuove voci hawaiane, vale quanto scriveva Mark Twain in visita nell'arcipelago nel XIX secolo: "Ogni passo rivelava un nuovo contrasto, scopriva qualcosa cui non ero abituato".