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Chiara Mezzalama racconta Dopo la pioggia

Autore: Chiara Mezzalama
Testata: LetteratitudineNews
Data: 27 febbraio 2021
URL: https://letteratitudinenews.wordpress.com/2021/02/27/chiara-mezzalama-racconta-dopo-la-pioggia/

Il 13 novembre 2015 ho sentito degli spari. D’istinto ho chiuso le persiane. A poche centinaia di metri da casa si stava consumando la strage del Bataclan. Per la seconda volta in quello stesso anno, il quartiere si è trasformato in un cimitero. Portavo a scuola i figli camminando tra le candele, le corone di fiori, le lacrime, la rabbia e la paura.

Il 30 novembre, sempre a Parigi, era prevista la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, la Cop21. Ho seguito una parte dei lavori con un collettivo di giornalisti, giornaliste e militanti arrivati da ogni angolo del globo. I terroristi volevano che ci chiudessimo in casa, i militanti ecologisti spalancavano le porte del mondo e ci invitavano a prenderci cura di un pianeta rovinato; il nostro. Degli attentati hanno scritto in molti (anche io avevo scritto qualche mese prima Voglio essere Charlie: diario minimo di una scrittrice italiana a Parigi). Della crisi ecologica quasi nessuno.

Come sempre quando non capisco le cose, mi sono messa a leggere. In un saggio intitolato La grande cecità, Amitav Gosh si interroga sul perché la letteratura abbia in parte abdicato alla sua missione di raccontare il nostro appuntamento cruciale con la Storia: la crisi climatica. Ho deciso di raccogliere la sfida; così è nato Dopo la pioggia, dalla violenza che attraversa il nostro tempo e dal tentativo di immaginare nuove strade da percorrere.

C’è un problema di scala nel racchiudere una faccenda così complessa in una forma relativamente strutturata e breve come quella del romanzo. Intanto servono dei personaggi affinché i lettori possano identificarsi con loro e con loro interrogarsi, scoprire, e eventualmente cambiare punto di vista. Entrare dentro la storia e farla propria. Ma la storia? Per costruire la trama del romanzo dovevo trovare una piccola storia che attraversasse una grande Storia. Un po’ come quelle bambole russe ma partendo dalla più piccola per arrivare alla più grande. Volevo anche che tutto succedesse in un’unità temporale ristretta. Siamo consapevoli del fatto che il nostro modello di sviluppo non è più sostenibile ma tendiamo a pensare che abbiamo ancora del tempo. Volevo dimostrare che quel tempo non c’è più, che le cose stanno succedendo adesso… Poi è arrivato il virus, ma io questo non lo sapevo ancora quando stavo facendo questi ragionamenti.

Quindi c’è una coppia, Ettore e Elena che attraversa una crisi dopo vent’anni di matrimonio, quando i loro figli stanno crescendo. Qualcosa che succede quasi a tutti prima o poi. Lui la tradisce per sentirsi vivo, lei si sta lentamente spegnendo. Volevo partire da una situazione normale, quasi banale e lentamente introdurre degli elementi di sconquasso, come una crepa che si allarga e diventa voragine.

Ho deciso di ambientare la storia tra Roma e la valle del Tevere, un po’ per nostalgia della città dove sono nata e un po’ perché volevo che anche il fiume fosse un personaggio del romanzo. Prima c’è un caldo esagerato che ha prosciugato il fiume durante l’estate, poi arriva una pioggia violenta, persistente, incessante, che fa straripare il fiume, restituendogli quella funzione di barriera geografica che aveva nell’antichità. I due personaggi principali, Ettore con i due figli Susanna e Giovanni e Elena, scappata dopo aver scoperto il tradimento del marito, si ritrovano a compiere un viaggio imprevisto e sconvolgente. Cosa succede quando non funziona più nulla? Quando tutto ciò che davamo per scontato non è più valido? È quello che ho provato a immaginare. Credo che questo sia un punto centrale della crisi che stiamo attraversando; c’è un problema di immaginario, siamo talmente abituati a pensare che l’unica forma possibile di progresso sia la crescita economica, che non riusciamo più a sognare altri modi di stare al mondo. Per questo l’arte ha un ruolo fondamentale. Gli artisti e le artiste sognano, inventano, interpretano la realtà diversamente. Senza immaginazione non può avvenire quel cambiamento profondo e duraturo di cui abbiamo così bisogno se noi umani vogliamo continuare ad abitare questa terra, con un po’ più di rispetto di come abbiamo fatto finora. Nel romanzo c’è il fiume ma ci sono degli alberi, c’è una foresta, ci sono degli animali, dei funghi e ci sono tanti personaggi che hanno già cominciato a inventare nuovi modi di stare al mondo, di amarsi, di collaborare, riconnettendosi al vivente. È questo che ho voluto raccontare in Dopo la pioggia. Ho deciso di alternare i punti di vista dei due personaggi principali, Elena e Ettore per dare un ritmo sostenuto alla storia. Volevo che la trama fosse avvincente, che succedessero un sacco di cose, io amo le storie. La narrativa troppo intimista, a meno che l’autrice non sia un genio come Annie Ernaux, mi annoia. Volevo dare voce ai ragazzini, perché il futuro appartiene a loro. Uno dei problemi dell’Italia è che è un paese vecchio e le nuove generazioni sono quelle che pagano il prezzo più alto di questa crisi. La pandemia lo ha rivelato ferocemente. Volevo che ci fosse del desiderio, dell’amore che sono dei motori di cambiamento potenti. Volevo che i personaggi riuscissero a mantenere uno sguardo poetico sulle cose nonostante la rovina che li circonda.

Ho scelto di usare uno stile relativamente semplice, senza troppe sofisticazioni linguistiche, perché volevo che questa storia che mi sta così a cuore, l’avrete capito, fosse accessibile a tutti e a tutte. Mi direte voi, care lettrici e cari lettori, se sono riuscita nel mio intento.