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Casa è dove fa male di Massimo Cuomo

Autore: Elisabetta Bolondi
Testata: Sololibri
Data: 11 marzo 2021
URL: https://www.sololibri.net/Casa-e-dove-fa-male-Cuomo.html

Una metafora del nostro tempo amara e durissima, che ci costringe a riflettere sul mondo che ci siamo costruiti, che cerchiamo di non vedere, che è più vicino di quanto non immaginiamo.

Non è nuovo il tema di far parlare una casa che osserva dall’interno i suoi abitanti: penso al bel romanzo di Sebastiano Vassalli Cuore di pietra (Einaudi 1996) o al lungo racconto di Giulia Alberico La casa del 1908, all’interno di Madrigale (Sellerio 1999). Cito questi due libri per spiegarmi quanto sia mutata radicalmente la sensibilità e l’approccio degli scrittori del nuovo millennio, anche se la materia può apparire per certi versi simile. Massimo Cuomo è veneziano, e la storia molto inquietante che racconta nel suo recente Casa è dove fa male (E/O, 2021) fa davvero male, costringendo il lettore a fare i conti con quanto di più spietato, malato, malvagio possa albergare nell’animo degli uomini e delle donne del nostro tempo, preda della solitudine, della mancanza di riferimenti, di radici, di vere passioni.

Lo squallido edificio di Marghera che appare il protagonista della vicenda, a volte perturbante quando non macabra, ospita una serie di famiglie, intorno a ognuna delle quali lo scrittore costruisce narrazioni estreme, degne delle favole più note e spaventose della tradizione europea. Il libro si apre con la fotografia della pulsantiera del palazzo che reca i nomi degli abitanti: Busetto, Chinellato, Ruzzene, Schirru Prampolini, Sbrogio, Menegozzo. Sette interni, sette storie, sette casi estremi. Ci sono uomini e donne, vecchi coniugi che non si sfiorano da anni, un uomo abbandonato dalla moglie, una famiglia di grandi obesi, una coppia di madre anziana e figlia dipendente, un medico in pensione abbandonato dalla famiglia che attende la visita di una giovanissima che lo domina sessualmente, un nucleo famigliare insolito: madre, padre e tre bambini dal nome che comincia per zeta, e solo leggendo se ne scopre la ragione… Ci sono anche due animali dal nome umano, il cane Manlio e il gatto Rodolfo, oltre a una coppia di topi che continueranno a moltiplicarsi, a salire nei tubi e alla fine a impadronirsi dell’intero edificio.

L’amore, che dovrebbe essere il motore della storia, è declinato nelle sue forme più abiette, malate, perverse. Un romanzo nel quale l’autore non salva né uomini, né donne, né ragazzi. Gianna Ruzzene, Miriam Scardovi, Teresa Menegozzo, Lia Busetto, Nena Chinellato, Sonia Prampolini, donne terribili, sole, disperate, pronte a qualunque gesto: mangiano, leccano, digiunano, reprimono, fanno sesso nel modo più estremo, sguaiato, privo d’amore, fuggono, ritornano, muoiono. Gli uomini appaiono le loro vittime, anche se non sono innocenti. C’è una sorta di compiacimento dello scrittore nel raccontare il degrado etico, la follia, la deviazione, che porta questi personaggi banali, piccolo borghesi di provincia, a compiere gesti trasgressivi, violenti, al limite della sopportabilità. Autoinfliggersi una tortura per ravvivare la sessualità persa, nutrirsi di carne canina, perdere totalmente il senso della dignità e del pudore: i sette vizi capitali danteschi vengono qui rivissuti nelle storie dei protagonisti: lussuria, gola, ira, avarizia, invidia…

Un appartamento gelido dove non si accende mai il riscaldamento, non si mangiano altro che brodini e un uovo a settimana, una sessualità lussuriosa e masochista, una golosità perversa che porta al delitto, un’accidia terrificante che lega una donna a spiare la vita degli altri attraverso uno spioncino: ce n’è per tutti nel catalogo di orrori che racchiude la casa raccontata da Cuomo, che si serve di un linguaggio colorito, sempre molto preciso e attento nel descrivere gli interni nei quali emergono dettagli, odori, sapori, sensazioni tattili, visive. Un panorama sconfortante di sporcizia e degrado, fisico e morale, del quale saranno i topi affamati a fare un lauto banchetto. Una metafora del nostro tempo amara e durissima, che ci costringe a riflettere sul mondo che ci siamo costruiti, che cerchiamo di non vedere, che è più vicino di quanto non immaginiamo.