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Chiacchierando (ancora una volta) con… Chiara Mezzalama

Testata: Giuditta legge
Data: 11 marzo 2021
URL: http://www.giudittalegge.it/2021/03/11/chiacchierando-ancora-una-volta-con-chiara-mezzalama/

Arrivò che era quasi l’una. Aprì il cancello, parcheggiò la macchina e si fermò ai piedi del faggio rosso. Quell’albero lo conosceva da quando era bambina. Le foglie stavano virando al porpora ma si vedeva che aveva sofferto il caldo. Elena appoggiò la fronte al tronco duro e ruvido: il contatto le trasmise un senso di calma. Amava quell’albero quasi fosse un vecchio zio gentile dal quale farsi consolare ogni tanto. Entrò in casa. L’oscurità, la frescura e un leggero odore di umido le diedero il benvenuto insieme a qualche famiglia di ragni. Spalancò una finestra per far entrare aria e luce, lasciò le sue cose in salotto e uscì sul prato. Gli alberi appassivano più per la penuria d’acqua che per un preludio d’autunno.

È proprio all’ombra del faggio rosso della casa dell’infanzia legata al ricordo della madre che vorrei raggiungere Elena, una dei protagonisti di Dopo la pioggia, insieme con Chiara Mezzalama, che ce l’ha donata, in un romanzo dalle tinte forti e pungenti che mancava e di cui si sentiva la necessità.

Dopo la pioggiaDopo la pioggia è il nuovo romanzo di Chiara Mezzalama, sempre per E/O come i precedenti Avrò cura di te e Il giardino persiano.

Se da una parte il nuovo romanzo riconferma l’attenzione della scrittrice per le relazioni umane e il loro intersecarsi all’interno della famiglia e al di fuori, nel mondo e nella Storia, Dopo la pioggia guarda decisamente in avanti, in un futuro così prossimo da sembrare presente, e si innesta in uno dei temi più caldi e scottanti del nostro tempo: no, non è la pandemia, che è solo un diversivo, crudele e feroce, con cui la Storia del nuovo Millennio si è divertita a sparigliare le carte, ma il danno ecologico e le drastiche e immani conseguenze che pagheremo se non porremo rimedio.

La tua aderenza al presente è sempre stata ben visibile, anche ne Il giardino persiano, che affondava il racconto nel 1981 (QUI la mia chiacchierata con la scrittrice sul romanzo), ma in Dopo la pioggia l’attualità ti ha spinto a spalancare una finestra più ampia che racchiude nello spazio limitato dei paesi a cavallo tra Lazio e Umbria, divisi dal Tevere esondato, il segno di ciò che verrà.

Passato, presente e futuro: quali sono i tempi della scrittura di Chiara Mezzalama? C’è un percorso nella tua scrittura che attraversando il presente, ti ha portato a volgere il tuo sguardo, consapevole e chiaro, al futuro in Dopo la pioggia, candidato al Premio Strega da Jhumpa Lahiri con una motivazione forte che valorizza il tempo futuro senza staccarsi dal presente né dimenticare il passato:

Mezzalama ha realizzato un romanzo straordinariamente attuale, eppure, nella sua specificità, si nutre di mitologia e di una dimensione astratta attraverso la quale questa famiglia affranta diventa ogni famiglia, e questa Roma travolta dalla tempesta diventa ogni luogo sulla terra. Capiamo meglio, leggendolo, come sopportare i rovesci della sorte, come tutelare le generazioni che verranno, come resistere a tutte le incertezze all’orizzonte?

RISPOSTA: È difficile immaginare il futuro in questo momento. Abbiamo già parecchie difficoltà con il presente, non ti pare? Eppure credo sia una questione cruciale: imparare a immaginare l’inimmaginabile. È la sfida di questo romanzo che già dal titolo con quel «dopo» ci spinge verso l’ignoto. Vorrei poter recitare l’amata filastrocca di Gianni Rodari, «dopo la pioggia viene il sereno, brilla in cielo l’arcobaleno…» e infatti c’è un arcobaleno nel romanzo, ma le previsioni meteorologiche non sono così rassicuranti.

Ho cominciato a ragionare sul futuro dopo aver letto il saggio dello scrittore indiano Amitav Gosh, La grande cecità. Gosh si domanda perché la letteratura non riesce a raccontare la vera grande Storia che stiamo attraversando, ovvero la crisi climatica, di cui la pandemia, come dici giustamente, è soltanto un terribile diversivo.

Ho scelto di raccontare un futuro prossimo, perché fosse possibile identificarsi. La letteratura che si occupa di futuro viene solitamente relegata alla fantascienza anche quando si tratta di grandi romanzi. Volevo che all’inizio tutto sembrasse quasi normale; la crisi di una coppia, un’insoddisfazione professionale, un generale malessere e lentamente che si aprisse una crepa nelle fragili certezze dei personaggi. Per fare questo ho utilizzato due fattori naturali: la pioggia e il fiume Tevere che sono presenti in tutta la storia e hanno un impatto enorme sulle vicende degli umani. Siamo abituati a pensare alla natura come qualcosa che sta lì, nel migliore dei casi come un bel panorama, nel peggiore come una risorsa da sfruttare. E invece siamo profondamente connessi con l’aria, l’acqua, la terra, le piante, gli animali, i ghiacciai, i virus e i batteri.

Volevo buttare giù qualche impalcatura… la realtà ha largamente superato la mia immaginazione!

Quello che mi ha affascinata in Dopo la pioggia è la capacità dei personaggi, non solo i protagonisti, di darsi da fare e cercare dentro necessariamente, ma anche fuori da sé soluzioni e prospettive. Nonostante le catastrofi naturali che si accompagnano all’esondazione del Tevere, come la pioggia perdurante e battente, i drastici cambiamenti di temperatura, Elena ed Ettore si mostrano aperti e fiduciosi agli incontri che fanno nei boschi, e i figli Susanna e Giovanni mostrano curiosità e attenzione per tutte le esperienze che si presentano loro. Dopo la pioggia, pur raccontando una catastrofe, non è un libro catastrofico né apocalittico, ma il contrario. Fa leva sull’importanza di rifarsi e di darsi una scossa. In questo sono fondamentali i personaggi secondari che accompagnano e intrecciano le loro storie con quella di Elena, Ettore, Giovanni e Susanna: Ada con i suoi presentimenti; Ove alle prese con le sue galline; Guido con la conoscenza del bosco e del sottosuolo; le suore del monastero; Iroko fuggita dal Giappone con il marito dopo la catastrofe nucleare di Fukushima, e anche Pandora, la cagnolina ferita, che diventa emblema di tutta la natura, attaccata e risanata.

Dove li hai trovati questi personaggi così particolari e veri?

RISPOSTA: Oh… credo ci siano due risposte a questa domanda. La prima è che quando sono andata a vivere a Parigi, ero sola con due bambini piccoli in una città dove non conoscevo quasi nessuno. Mi sono detta che per cavarmela dovevo incontrare molte persone su cui poter fare affidamento. Quindi ho avuto un atteggiamento di grande apertura e disponibilità e così ho conosciuto un sacco di gente. Il mio modo di pensare la famiglia e la dimensione collettiva è completamente cambiato. È quello che volevo raccontare nel libro. E poi Parigi, nonostante i suoi grandi cambiamenti, resta una festa mobile, dove trovi tutto e di più. Iroko per esempio è ispirata a una donna giapponese che ha un piccolo ristorante nel suo salotto, Le comptoir japonais, a pochi passi da casa. Mi ha raccontato la sua storia e ne sono rimasta affascinata. La dottoressa che salva Ove dall’avvelenamento da funghi esiste e Guido… Guido l’ho sognato.

Questo mi conduce alla seconda risposta che potrei darti. Siamo tutti e tutte abitate da una sarabanda di personaggi, come nei sogni, che sono delle espansioni di noi. Persone che abbiamo amato, dimenticato, sfiorato, desiderato, odiato, persone che sono morte, che stanno tra le pagine dei libri, nei film… e anche animali, luoghi, alberi, sassi, fiumi, oceani. È come un enorme catalogo che ci portiamo dentro e dal quale possiamo attingere per creare un’infinità di personaggi. E poi a me piacciono le storie con tanti personaggi ed è un po’ una sfida riuscire a caratterizzarli in modo che siano credibili e veri anche se occupano soltanto poche pagine.

In fondo è un po’ quello che succede quando ci si mette in viaggio. E la scrittura è per me il viaggio più avventuroso che si possa compiere.

Una caratteristica della tua scrittura è stata sempre quella di affidarsi ai sensi, in particolare lo sguardo, per raccontare non solo le vicende ma anche l’introspezione dei personaggi, e le relazioni umane. Torna anche in Dopo la pioggia, ma il senso privilegiato mi sembra che in questo sia l’olfatto, con una particolare attenzione ai profumi, gli odori, gli aromi del bosco, della pioggia, della vegetazione e dei corpi umani. È il senso dell’istinto, quello più intuitivo e preveggente, più nascosto e sepolto nella nostra psiche. A seguire gli altri sensi, la vista, il tatto, il gusto, l’udito, ognuno con un significato nel tutto: un mondo intero da riscoprire, proteggere e a cui affidarsi. Cosa ci svela l’olfatto e in che modo è stato usato in Dopo la pioggia?

RISPOSTA: Una delle cose incredibili del Covid19 è questo sintomo della perdita dell’olfatto e del gusto. Senza questi due sensi, siamo completamente smarriti, perdiamo dei riferimenti fondamentali per orientarci nella realtà. Senza gusto non c’è piacere nel mangiare, senza odori il mondo sbiadisce. Immagini una rosa senza il suo profumo? O i tuoi figli senza il loro odore? Senza sentire l’odore dell’altro, si può provare desiderio? L’olfatto in effetti è uno dei primi sensi che si sviluppa in una parte profonda del cervello legata all’istinto ma anche alla memoria e alla gestione delle emozioni. Simbolicamente mi sembra interessante che questa malattia ci possa far perdere uno strumento così potente di relazione con gli altri e il mondo circostante.

I personaggi nel romanzo si misurano tutti con il pericolo, l’incertezza, e devono fare appello a strumenti più primitivi per reagire e difendersi, come se la loro parte animale prendesse il sopravvento, per questo il corpo è così importante nella storia. Ci dimentichiamo di essere degli animali, ci sentiamo superiori. Questo per me è un errore di prospettiva. Ho provato allora a guardare le cose più dal basso, anche sul piano del linguaggio. Meno sofisticazione, più verità.

E poi sono cresciuta in paesi del sud, in paesi caldi, dove gli odori erano molto intesi, anche quelli cattivi. Per me sono sinonimo di vita.

In Dopo la pioggia la pandemia del Covid non è presente. Eppure ci si riconosce quanto mai prima nel senso di catastrofe che incombe sui personaggi. Che cosa di questa esperienza pandemica che ha travolto la vita di ciascuno di noi hai riversato nelle pagine del romanzo? La pioggia che incessante batte nelle pagine e la distruzione fangosa causata dall’esondazione del Tevere che travolgono i protagonisti del romanzo hanno qualcosa in comune con la pandemia, soprattutto nelle reazioni emotive nei diversi personaggi? Sei debitrice di qualcosa nella credibilità dei personaggi alla pandemia che hai vissuto come tutti sulla tua pelle e quella dei tuoi figli?

RISPOSTA: Ho scritto il libro nel 2018, doveva uscire in primavera 2020 ed è stato rimandato di un anno a causa della pandemia. Noi scrittori e scrittrici siamo sempre sfasate nel tempo ma questo è un bene. La letteratura ha tempi lunghi di maturazione, cicli lunari, astrologiche incertezze. Tuttavia era abbastanza chiaro che si stava preparando quella che Ada nel romanzo chiama una «tempesta cosmica». Non avevo idea che prendesse la forma di un virus insidioso, ma sentivo che eravamo sull’orlo di una catastrofe.

Durante il primo confinamento ho vissuto un lutto tremendo, la morte è entrata brutalmente nella mia vita. Credo che la prossima cosa che scriverò sarà sulla morte, sul fatto che pensavamo di averla sconfitta e invece la ritroviamo dappertutto. Faccio parte di quelle persone che non hanno potuto dire addio a coloro che amavano. Vorrei davvero che quello che stiamo vivendo ci insegnasse ad essere più rispettosi e umili, a prenderci cura gli uni delle altre. Chissà quanti anni mi ci vorranno per elaborare tutto questo e riuscire a scriverne… nel frattempo scrivo storie per bambini, per me è una sorta di vacanza, un modo per resistere.

Prima di salutarci, mi vorrei soffermare su Elena, la protagonista del romanzo, figura luminosa e complessa, che incontriamo nel punto di rottura della sua vita, quando manda tutto all’aria per ricomporre se stessa, ma il Tevere la incalza e la separa dal resto della sua famiglia. L’una su una sponda, in Umbria, dove possiede un’eredità impegnativa: una casa con un enorme faggio rosso, lasciatale dalla madre; gli altri sull’altra sponda, dopo aver tentato di raggiungerla, ma essere stati bloccati dall’esondazione. Tutti impareranno qualcosa, anche e soprattutto a ricominciare.

La narrazione scorre su due binari, entrambi in terza persona ma fortemente in soggettiva, che è un’altra delle caratteristiche felici della tua scrittura. Dalla parte di Elena, e dalla parte di Ettore e dei due figli. Fino a ritrovarsi tutti e quattro davanti a uno scempio di distruzione, che ha salvato solo il faggio rosso.

Chi è Elena e com’è arrivata a te, così prepotentemente, con il suo carico di esistenza ed esperienze, il silenzio protratto e il desiderio di ricominciare?

RISPOSTA: Elena tenta di spezzare un anello della catena che tiene legate le donne; figlie, mogli, madri, amanti, nonne… come se per definirsi servisse un ruolo. Per questo Elena parte da sola, volevo che potesse riflettere su se stessa da una prospettiva diversa, senza quelle eredità impegnative e quelle responsabilità che costellano la sua vita. Si interroga, si sente in colpa, si ricorda del passato e poi comincia il diluvio ed è come se l’acqua le togliesse degli strati di dosso. È nuda quando incontra Guido e anche questo volevo raccontare: il desiderio erotico, la forza dirompente dei corpi, quel tipo di attrazione che scardina le regole e ti fa andare lontano. Attraverso il desiderio, Elena vuole sentirsi libera e viva, in quel perdersi tra le braccia di un altro, si ritrova. In questo momento in cui non ci si può nemmeno sfiorare, diventa ancora più urgente, importante. Elena si sta cercando, e io cerco con lei altri modi di stare al mondo in quanto donna; c’è il desiderio e c’è la sorellanza, c’è il rapporto con i figli e la propria autonomia, c’è l’impegno, la cura, il tentativo di riparare ciò che è stato rovinato.

Mentre scrivevo avevo intorno a me tante donne, le scrittrici amate di sempre ma anche l’antropologa Anna Tsing, Donna Haraway, Starhawk, Silvia Federici, Mona Chollet, Laura Centemeri e tante altre che nel tempo hanno nutrito il mio immaginario ecofemminista.

Il finale del romanzo è aperto, l’epilogo è soltanto l’inizio di qualcosa di nuovo.

Grazie di questa bella e lenta chiacchierata che mi ha accompagnata in questi giorni.